Sembra quasi paradossale, ma lo scopo principale di ‘Un nastro attorno a una bomba. Una biografia tessile di Frida Kahlo‘ è quello di eliminare i colori e ripulire la figura dell’artista messicana da una più che ingombrante aurea pop, spesso ridotta a grossolana operazione di merchandising, e ricollocarla nel posto che più le compete nella storia politica e artistica del secolo scorso. In questo saggio grafico, scritto per WoM Edizioni da Rachel Viné-Krupa e illustrato da Maud Guely, viene svelato l’intenso rapporto tra l’artista e il suo guardaroba, raccontando attraverso gli abiti, i gioielli e le acconciature, la sua seconda pelle mutante con la quale incorniciava se stessa, mascherando le cicatrici, per affermare le sua radici e rivendicare attraverso eleganti provocazioni la sua libertà e la sua indipendenza. Il libro verrà presentato domenica 15 aprile al Bar caffè La Piazzetta di Siliqua alle 11. L’evento organizzato dalla libreria La Giraffa avrà come ospiti la sociologa Ester Cois dell’Università di Cagliari e l’editore Matteo Pinna della WoM.

Per Frida Kahlo, trasformare il suo corpo era una necessità dell’anima, una valorizzazione esuberante che aveva nel dolore la sua principale fonte d’ispirazione, appresa dalle donne messicane che per certi versi non era molto dissimile da quella delle donne sarde, delle quali scriveva Caterina Cucinotta, maestra nuorese del secolo scorso con una grande passione per l’arte e gli abiti isolani, dotate di una spiccata sensibilità e di un’innata elevatezza nel sentire forme e colori che esaltassero la loro originalità. Questo è il leitmotiv che pervade ‘Un nastro attorno a una bomba‘, una biografia che non potendo fare a meno di parlare del tribolato rapporto di Frida con Diego Rivera, quanto meno, cerca di prenderne il più possibile le distanze, portando il lettore e la lettrice fra le trame e gli orditi dei suoi abiti e mettendo la pittrice davanti a lo specchio che diventa di volta in volta un quadro di se stessa, un autoritratto temporaneo da arricchire con i mille colori della sua sconfinata tavolozza.
Le tappe del percorso umano e artistico sono quelle ben note. Il Messico, i due fatali incidenti, quello sull’autobus, causa dell’infermità che la tormenterà per tutta la vita e l’incontro con Rivera che per certi aspetti non sarà meno doloroso. E poi ancora San Francisco, Detroit, New York e Parigi dove tutto si riflette in un carosello di abiti, monili, acconciature; in una sovrabbondanza di stoffe, merletti e fiori che oltre a caratterizzare i suoi quadri raccontano un corpo sofferente che reagisce agghindandosi, tramutando ogni sbandamento fisico ed emotivo in un tripudio di colori. Colori che la tavole illustrative di Guely lasciano solamente presagire, le illustrazioni sono volutamente in bianco e nero. Sfogliando il libro viene quasi voglia di dare fisicamente, o solo col pensiero, perché no, una personale tinteggiatura a quei vestiti esotici che mescolano e abbinano epoche e culture diverse.
Frida aveva la capacità di passare con disinvoltura da un cheongsam, un lungo abito ricamato cinese a una thuana, foggia muliebre di derivazione zapoteca originaria della Oaxaca, regione dove sosteneva, mentendo, di avere le radici materne; salvo poi vestire all’occidentale, quando i contrasti con Diego Rivera si acutizzavano maggiormente. Tutto questo con uno stile unico attraverso il quale esponeva il suo dolore, senza reclamare alcuna compassione, ma affermando con una personalissima rivoluzione estetica il suo ruolo di donna messicana, libera e indipendente, e usando la trasgressione e la provocazione come armi di rivendicazione.

Fu questo a colpire la stilista italiana Elsa Schiaparelli che, riconoscendone l’unicità, volle tributare il suo stile con l’abito ‘Robe Madame Rivera’. Per il resto l’unico italiano ad apprezzare e a parlare di Frida Kahlo sarà lo scrittore livornese Carlo Coccioli negli anni Sessanta, dopodiché la quasi penombra totale cadrà sulla pittrice messicana, per riesplodere poi come fenomeno pop, anche grazie al cinema e a una sterminata serie di libri e documentari in merito ed essere “elevata” a prodotto di consumo di massa fra gli anni Novanta e il nuovo millennio. Una concezione dalla quale questa biografia tessile, per fortuna, si distacca in maniera perentoria, narrando in maniera originale un aspetto tutt’altro che marginale nella vicenda umana di una ragazza che non aveva bisogno di piedi per camminare, perché aveva acquisito, e non senza fatica, la capacità di volteggiare fra forme e colori. Una “ballerina variopinta”, per dirla con l’antropologa Clara Gallini, che non indossava le mutande e le calze, così, come le donne sarde sue contemporanee, ma che con il suo stile unico ha cantato coraggiosamente un immenso inno alla vita, che Rachel Viné-Krupa e Maud Guely con il loro pregevole lavoro hanno riportato alla sua essenza.