Trovare una definizione dei Cure, una delle band inglesi più apprezzate al mondo, è impresa ardua: messo da parte l’aggettivo “goth” che gli stessi musicisti hanno sempre rifiutato, ci vengono in mente almeno dieci etichette diverse, dal post punk alla new wave al rock per definirne il genere, ma nessuna di queste li rappresenta pienamente. E allora preferiamo usare le parole di Lol Tolhurst secondo cui i Cure sono stati capaci, negli anni, di costruire “una fratellanza mondiale nell’essere diversi“. Il senso di comunità, di fratellanza, quel riconoscersi nei brani più diversi, dalle canzoni più struggenti a quelle più pop e orecchiabili, ha reso unica e amatissima la band nata a Crowley quasi cinquant’anni fa, e ancora oggi i loro fan sono tra i più fedeli e affezionati di sempre. Al variegato mondo dei Cure e soprattutto al fondatore, leader, chitarrista e cantante è dedicato “Close to Robert Smith, i colori del buio nella musica dei Cure e oltre“, pubblicato pochi mesi fa dallo scrittore e critico musicale romano Federico Francesco Falco con la casa editrice Odoya.
La storia dei Cure inizia nel sud dell’Inghilterra, a Crawley, circa 45 chilometri a sud di Londra, verso la metà degli anni Settanta. Come tanti adolescenti inglesi anche Robert Smith e i suoi amici sono affascinati dal punk, un genere decisamente di rottura rispetto alla musica rock più conosciuta e diffusa. E sulla scia dei primi concerti punk sono tante le band che nascono proprio dalla voglia di esprimersi anche senza una grande tecnica musicale alle spalle. Nel 1977 gli Easy Cure con i giovanissimi Robert Smith, Lol Tolhurst, Porl Thompson rispondono all’annuncio per la ricerca di nuovi talenti di una giovane casa discografica, la Hansa Records; superate le selezioni firmano il primo contratto che però viene strappato pochi mesi dopo, dato che l’etichetta si rifiuta di pubblicare un brano controverso come “Killing an arab”.
Pochi mesi dopo arriva una nuova casa discografica decisamente più coraggiosa (e scaltra), la Fiction Records, con cui la band che nel frattempo aveva semplificato il nome in The Cure e ridotto la formazione a tre, esce così l’album di debutto, “Three imaginary boys” (Maurizio Pretta lo ha raccontato qui). E’ il maggio 1979, i ragazzi non sanno che quello sarà l’inizio di una incredibile storia musicale arrivata fino ai nostri giorni con 14 album in studio, raccolte, dischi live, oltre 1500 concerti in tutto il mondo e un’infinità di incontri, collaborazioni, scambi con artisti e musicisti diversissimi. Una band, quella dei Cure, che è stata capace di creare negli anni un sound sempre originale e ben riconoscibile anche esplorando generì distanti tra loro e mescolando influenze e suggestioni lontanissime. A guidare il percorso artistico della band la figura di Robert Smith, artista dai mille volti (e non a caso il sottotitolo del libro di Falco richiama i “colori del buio“), spesso identificato come musicista goth autore di testi oscuri e deprimenti ma capace, in realtà, di muoversi con leggerezza e ironia nell’immensità delle emozioni umane grazie alla sua musica, di portare avanti battaglie in difesa degli artisti e dei loro fan e sostenere solidarietà e campagne in favore dei bambini vittime di guerra e di grandi organizzazioni per la pace, l’ambiente e i diritti.

Le 400 pagine del libro raccontano il viaggio dei Cure dagli esordi fino all’ultimo album “Songs of a lost world” (qui la recensione di Gian Luca Sacco) uscito lo scorso 1 novembre (in contemporanea con un concerto esclusivo al Troxy di Londra trasmesso anche in streaming mondiale, su Nemesis Magazine vi abbiamo raccontato l’emozionante visione collettiva a Su Tzirculu di Cagliari) con aneddoti, citazioni, riferimenti a interviste e articoli.
Dopo “Cured, storia di due imaginary boys”, l’autobiografia di Lol Tolhurst pubblicata anche in Italia con Tsunami edizioni, il volume di Falco completa il quadro sulla vita artistica della band di Crawley grazie a una ricerca accuratissima sulle fonti (compaiono, tra i documenti citati, monografie musicali, programmi tv, interviste e articoli sulla stampa internazionale e in tv, dichiarazioni sui social network) accompagnata da una grande passione per la musica dei Cure e impreziosita da approfndimenti anche sulle collaborazioni (tantissime) di Robert Smith, da Siouxsie and the Banshees ai Glove fino a Gorillaz, Crystal Castle, Billy Corgan, oltre allo storico legame con il regista Tim Pope. Un mondo variegato, ricco di sfumature e colori, capace di unire persone lontanissime per attitudine, età e gusti personali e che periodicamente si incontrano nella straordinaria esperienza dei live che Robert e i suoi periodicamente regalano ai fan. Una fratellanza mondiale, appunto, nell’essere diversi.