Solitamente utilizziamo questo spazio per proporre una riflessione su macro temi legati a questioni come la cultura, l’identità o alla società in genere. Non questa volta. Stavolta infatti ci prenderemo un angolino del giornale per raccontare uno strano fenomeno che il 1 novembre ha interessato un folto gruppo di avventori del locale cagliaritano su Tziruculu. In programma lo streaming del concerto di una delle band più amate di sempre, i trasversali, poetici, inossidabili The Cure.
Li avevamo lasciati due anni fa, entusiasti del loro live a Bologna poi la sorpresa di un nuovo bellissimo singolo e alla fine di un album tanto atteso da sembrare che si stesse aspettando Godot. Invece è arrivato e a Londra, pochi selezionati spettatori tra cui la nostra direttrice, hanno potuto assistere a un evento storico.
Su Tzirculu, che dell’associazionismo, del mutuo soccorso e della condivisione d’anime ha fatto il suo marchio di fabbrica, ha organizzato la visione collettiva in streaming del live e noi, tanti, siamo accorsi lì, senza sapere bene cosa aspettarci dalla stranezza di un intero concerto visto attraverso un mega schermo.
La sensazione di spaesamento dura un secondo e il countdown che termina annunciando l’arrivo dei musicisti sul palco, preceduti dal sottofondo di una fitta pioggia che ci piace tanto, lascia posto a una magia che solo i The Cure possono creare. Siamo ai nostri posti ma col cuore siamo lì: le canzoni sono cantate a voce alta da tutti, dopo ogni brano scrosci di applausi, fischi di approvazione, urla di gioia vengono tributati a Robert Smith e soci.
Come al cinematografo si applaudiva alla fine della proiezione delle pellicole così facciamo noi, illudendoci che il nostro calore arrivi oltre la Manica, bypassi i controlli di sicurezza e senza passaporto si manifesti lì, nel piccolo teatro londinese dove ancora dopo tanti anni di carriera i Cure sanno strappare emozioni come nessun altro. Si fanno foto, brevi video da condividere, proprio come se loro fossero davanti a noi in carne e ossa.
Robert Smith appare ancora oggi come il ragazzino goffo degli esordi, con quei movimenti timidi che non sono un ballo ma più un dondolarsi, concentratissimo mentre con la band esegue i brani del nuovo album “Songs Of A Lost World”. Intorno a lui i musicisti, come in un’orchestra, portano avanti con estro e sapienza la musica onirica, romantica e straziante di cui sanno essere i fautori. La seconda parte è per alcune, tante, delle gemme senza tempo che i ragazzi di Crawley ci hanno regalato: ‘At Night’, ‘Lullaby’, ‘Just like Heaven’, ‘Close to Me’, ‘In between days’, ‘Friday i’m in love’, ‘A forest’, ‘Play for today’ e tante altre meraviglie di perfezione rara. Ora se la godono: smorfie, gesti, linguacce e sorrisi vengono indirizzati al pubblico in estasi fino a che le indelicate luci si accendono per dire che la magia è compiuta. Tre ore, come da sempre ci hanno abituato, di pura poesia.
Succede questo, dunque, che un manipolo di fan si riunisca in un club in città ed esulti come a San Siro anche se fissa uno schermo, lontani ma vicini ci scambiamo impressioni, risate e qualche lacrima legata a ricordi così personali che non potremmo mai menzionare. La famosa fratellanza nell’essere diversi che proprio loro hanno costruito nel tempo e che gli garantisce l’amore incondizionato di milioni di fan in tutto il mondo.
Quel che è certo che nessuno come i Cure sa unire le persone e far sentire loro come può essere stupenda la fragilità umana.