Il nuovo libro di Andrea Staid si inserisce in un contesto di riflessione già iniziato con la precedente pubblicazione “Abitare illegale” (leggi la nostra intervista qui), ovvero la necessità di ripensare il modo di vivere la casa e scoprirne i significati più autentici e profondi in direzione di un futuro eco sostenibile.
Andrea Staid è docente di antropologia culturale e visuale presso la Naba e di letterature comparate all’Università degli studi dell’Insubria. Dirige per Meltemi una collana editoriale e ha scritto diversi libri. Grande viaggiatore, ha potuto esplorare in prima persona il modo di vivere di tantissime persone: da quelle che hanno scelto di abitare ai margini della città, portando avanti progetti di resilienza extra urbana, alle comuni e agli squat, fino alle comunità che risiedono nel Laos, in Mongolia e in molti altri luoghi. In questa pubblicazione, si concentra soprattutto sul senso della parola casa.
Nell’Occidente commercializzato e iper tecnologico la casa è un bene materiale, indice di status socio economico e quindi strumento di affermazione personale. Per tante popolazioni con cui Staid ha potuto interagire, invece, la parola abitare e la parola casa hanno un senso completamente diverso. Le abitazioni sono spesso pluri familiari, comprensive di spazi aperti all’esterno, inseriti nel contesto paesaggistico in modo naturale, realizzati con materiali locali e soprattutto con la comunità. Sapienza, empatia e tempo vengono condivisi e impiegati per realizzare un prodotto che sia espressione del bisogno di avere una dimora ma allo stesso tempo di un impegno collettivo.
Sempre più spesso, riflette Staid, ci chiudiamo in condomini di cemento ignorando chi sia il nostro vicino, a volte innescando competizioni di tipo esibizionistico di beni di lusso o entrando in conflitto per banalità, contribuendo a creare individui più soli e una società alienata.
Questo libro ci suggerisce di pensare diversamente, di immaginare un altro modo di stare sul pianeta e con le altre specie.
I continui disastri ambientali, l’impoverimento della terra e le vergognose speculazioni edilizie dovrebbero spingerci verso un rovesciamento di questo schema abitativo per seguire un percorso che tiene conto delle persone e non dei consumatori, più sano e etico. Materiali a km zero, tecniche antiche e poco impattanti, autocostruzione assistita sono tutti elementi importanti in una visione che guarda al futuro sostenibile e possibilmente a un futuro che ci renda più umani e consapevoli che “casa è dovunque ci sentiamo bene in armonia con gli altri”.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Staid su alcuni dei nodi cruciali della narrazione di “La casa vivente”. Guarda il nostro video realizzato con il contributo tecnico di Manuel Usai.