Facciamo un esercizio, non siete del pianeta terra e non ci siete nemmeno mai stati come turisti negli anni ’90, siete ospiti temporanei di una qualche location nell’universo e vi capita in mano o direttamente nelle orecchie (o che ne so io) un supporto logico digitale fisico in cui escono queste onde sonore, allora voi le ascoltate, ma anche io potrei, e direi che insomma: ‘Wow, non è male, che bel sound, che belle chitarre che stridono’ ed allora potrebbe anche andare bene passare circa mezz’ora che si rivelerà inutile come tante altre, purtroppo, ma tant’è.
Perché, in definitiva, di questo stiamo parlando. I Pearl Jam ne hanno combinata un’altra inutile delle loro, un nuovo album annunciato come se dovesse essere il migliore della loro carriera, uscito in contemporanea con Taylor Swift, che – lo scrivo subito sapete che non amo far perdere tempo – si rivela di una inutilità disarmante.
Si, disarmante è la parola giusta, per indicare un album vuoto, sciatto, mediocre, che riesce ad essere inutilmente uguale senza degna nota alle release precedenti, che passa accarezzando l’etere senza lasciare traccia e che spero sia veramente la prova definitiva della totale inutilità della band in questi circa trentacinque anni di carriera di cui forse solo dieci hanno avuto una minima rilevanza e poi niente.
Perché alla fine di questo parliamo, una band che sa piacere un po’ a tutti e tutte in giro, impolverisce ma non macchia, che dimostra che la somma dei talenti dei singoli è minore della somma dei singoli talenti.
Se i Pearl Jam sono ancora qua dopo trentacinque anni a far “grunge” (che non è un genere ma è stato solo un esperimento di marketing geolocalizzato) forse è proprio perché di anima ne hanno avuta sempre poca ed hanno solo messo a terra tanto mestiere.
Che va anche bene, per loro, ma non per me.
Cosa ascoltare: un po’ tutto, magari mentre si pulisce casa.
Cosa non ascoltare: non saprei, non ricordo un titolo.
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