La scrittrice cagliaritana Milena Agus torna in libreria con il nono romanzo, “Notte di vento che passa”, appena pubblicato da Mondadori a nove anni di distanza dal suo titolo d’esordio, “Mentre dorme il pescecane”: il libro è stato presentato in anteprima mercoledì 10 aprile al Padiglione Tavolara di Sassari in un evento organizzato da Lìberos per il festival Éntula, con l’autrice in conversazione con Alessandro De Roma.
In “Notte di vento che passa” la protagonista racconta un anno della sua vita, quello del diploma classico, ricco di cambiamenti funesti e felici, di tempeste e di quieti, di viaggi reali e nella fantasia. Cosima accetta di malo grado il trasferimento della famiglia a Cagliari dal paese in cui è cresciuta e da cui però viaggiava ogni giorno alla città per frequentare il liceo; per tutto l’anno, perciò, continuerà a viaggiare a ritroso per passare la fine settimana a casa della nonna ed evitare il taglio definitivo del cordone ombelicale dal borgo natale; qui il tempo passa tra le letture, i silenzi della nonna e le chiacchiere con zia Ausilia, madre di quell’uomo che le darà l’illusione di concretizzare le fantasie romanzesche. Lì, nel capoluogo sardo, le sue giornate saranno riempite dall’amicizia con l’indomito rivoluzionario e insostituibile confidente Abya Yala, dai motti e dagli insegnamenti della sua adorata professoressa che agli alunni non si stancherà mai di ripetere “Voi siete ciò che leggete”, e dalla scoperta di essere figlia non di un’orfana di padre ma di una figlia illegittima e che il nonno ha una propria famiglia.
Così il Mondo immaginario della Letteratura irrompe nel Mondo della realtà (che talvolta è anche più fantasiosa) e aiuta a sperare che la notte di vento passi presto. Chi invece vive, senza immaginazione, nel Mondo della realtà è orfano di quella speranza: “I sognatori ce la fanno sempre. Quando il mondo di qui non gli piace, se ne vanno nell’altro, quello immaginario”, le dirà la nonna in un momento cruciale della sua esistenza.
Dunque, i sognatori vinceranno sempre, anche e soprattutto attraverso i libri perché in essi trovano le risposte alle domande della vita, che in questo modo viene “letterarizzata”, e trovano quindi giovamento.
E Cosima lo fa con la propria, di vita, entrando ed uscendo in continuazione dai romanzi che divora. Questa “letterarizzazione” (concetto che si ripete nel testo declinato in varie forme verbali in maniera quasi ossessiva, volutamente sovrabbondante) permette alla diplomanda di leggere il Mondo della realtà con entusiasmo e ottimismo e allo stesso tempo, anzi di conseguenza, le impedisce di prevedere le delusioni che poi vive puntualmente proprio come nei romanzi in cui si “letterarizza”. Entrerà in continuazione in storie sbagliate fino a rendersi conto che “Prof, non riuscirò mai a tornare alla realtà. Mi sono semplicemente trasferita in un romanzo d’amore a lieto fine”.
Sembra che Milena Agus abbia immaginato questa storia per avere la possibilità di rendere omaggio alla grande letteratura straniera e italiana perché il testo è attraversato da innumerevoli citazioni e riferimenti letterari che “entrano” nella vita dei personaggi che a loro volta “entrano ed escono” dalle righe degli autori citati. Esempio di meta-letteratura, cioè di letteratura che parla di letteratura.
In realtà si parla anche di Sardegna, con i suoi problemi vecchi e nuovi, e dei suoi abitanti, “noi sardi”, “vittimisti”, che “ci lamentavamo” e “covavamo rancore” ma non riusciamo a liberarci di quel “fatal flaw” (difetto fatale) che ci lega ad un sistema di sopravvivenza ormai inutile e superato.
Ma, soprattutto, si parla di Grazia Deledda, in modo esplicito nonché velato. Tutto riporta alla sua opera.
“L’incendio nell’oliveto”, oltre che nell’esergo, viene citato più volte, e l’esperienza romantica di Cosima sembra richiamare l’amore adolescenziale di Annarosa e Gioele descritto in esso. L’uomo amato da Marianna Sirca ha lo stesso cognome dell’uomo di Cosima. Zia Ausilia e la mamma di Cosima sono lo specchio delle donne deleddiane e la mamma, in particolare, con la sua maniacalità per la parsimonia rappresenta il tipico personaggio verista succube della roba. E che dire di Cosima omonima del romanzo postumo della “Grande” Deledda; quella Cosima di fine Ottocento che sembra essere un personaggio costruito a propria immagine e somiglianza più che autobiografico. Ci verrebbe da dire che la Cosima moderna è discendente della Cosima antica: sognatrici che hanno provato ad affermarsi in una realtà che le vuole reiette. Una delle due ce l’ha fatta.
Milena Agus ha creato un impianto complesso e ricco di suggestioni a vari livelli in un romanzo relativamente breve, ma abbiamo avuto qualche perplessità sulla scrittura, che, a fronte di frasi ben articolate e costrutti efficaci, è sembrata a tratti ridondante con espressioni, descrizioni e concetti ripetuti pressoché uguali in più occasioni. O forse è stata una scelta stilistica legata alla narrazione in prima persona di una diciannovenne?
“Mi sono resa conto che le cose non esistono se non le raccontate a qualcuno. E se non avete qualcuno a cui raccontarle è ancora peggio, perché vuol dire che siete davvero soli. Come mi sentivo io, quando Abya Yala se n’era andato e non si decideva a tornare.”
Ora Cosima esiste e, forse, non è più sola.