Il nordest italico raccontato senza filtri un po’ per com’è e un po’ per come appare finisce sotto le luci della ribalta con lo spettacolo “Pojana e i suoi fratelli” di e con Andrea Pennacchi, andato in scena ieri sera mercoledì 17 aprile al Teatro Massimo di Cagliari, sotto le insegne del CEDAC – Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna. In replica giovedì, per poi proseguire il tour venerdì 19 aprile alle 21 al Teatro Civico “Gavì Ballero” di Alghero, e sabato 20 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena.
Tanti personaggi come tante sono le maschere di goldoniana memoria si alternano in una performance ironica, cruda e graffiante che ripercorre le tappe politiche della regione Veneto, un tempo madre di “provinciali buoni, gran lavoratori, un po’ ‘mona’ che per miseria migravano a Roma a fare le servette o i carabinieri, ora trasformatisi in avidi padroncini, di colpo, con l’ignoranza a fare da dominatore comune agli stereotipi”, precisa l’autore.
Così Andrea Pennacchi, teatrante dai primi anni ’90, distintosi nel teatro di ricerca, accompagnato dalle musiche dal vivo a cura di Giorgio Gobbo e Gianluca Segato fa conoscere al pubblico isolano alcune delle sue maschere più note, che – dice – derivano tutte da piccoli o grandi traumi del suo vissuto, come qualunque grande attore insegna!
Edo il security, Tonon il derattizzatore, Alvise il nero, il più noto Pojana portato persino in televisione, sotto i riflettori del programma “Propaganda Live”, sul canale La7, sono figure di un microcosmo che assume i caratteri di un esperimento sociale e ne riproduce la povertà, la rabbia, le tentazioni e le debolezze tipiche degli esseri viventi, in questo caso finemente studiati da Pennacchi come fossero topi di laboratorio. Ne vengono mostrate espressioni (linguistiche e non), movenze, grettezze che attingono sì dalla sua regione d’appartenenza, ma che in fondo non sono dissimili a quelle dei ‘loschi’ figuri sardi, piemontesi o lombardi.
Storie vere o parzialmente inventate come quella del Tanko che riporta in auge un fatto di cronaca coinvolgente i separatisti veneti che nel lontano 1997 occuparono piazza San Marco, a Venezia, con un cingolato che chiamavano – appunto – “Tanko”: un mezzo blindato arrangiato in casa sul modello di quelli militari, ma di fatto privo di qualsiasi armamento. Irruppero sulla scena brandendo la bandiera con il leone alato di San Marco, simbolo della Repubblica Veneta, e la issarono sulla cima del campanile.
“I nove ribelli veneti erano partiti dalla zona di Padova con un camper rubato e un camion su cui avevano piazzato il tanko. All’imbarcadero del Tronchetto di Venezia salirono a bordo del traghetto diretto al Lido. A un certo punto impugnarono il mitra e fecero dirottare il traghetto verso piazza San Marco. Una volta arrivati lì misero in atto il loro piano. Avevano intenzione, dissero poi, di tenere occupato il campanile fino al 12 maggio, anniversario della fine della Repubblica Veneta e della resa alle truppe francesi avvenuta nel 1797. Si erano portati acqua, biscotti, panini”, riporta il quotidiano online Il Post in proposito.
Uno spettacolo che viaggia per l’Italia e che in Sardegna conquista i cuori grazie alle assonanze facili tra i popoli, quello veneto e quello sardo: fanno giocoforza i richiami all’indipendentismo, ai luoghi neanche troppo comuni sulla difficoltà di manifestare e verbalizzare le emozioni e sui “grandi lavoratori”, sul sentirsi spesso gli “ultimi” ma fieramente tali e sulla voglia di rivalsa che è propria degli esseri umani e soprattutto di chi è stato (o è!) vittima di ingiustizie che hanno radici lontane.