Ruvida, rabbiosa, elementare, graffiante, aggressiva, liberante, iconica. Basta fare un piccolo sondaggio fra amici e conoscenti e per definire ‘Smells like teen spirit’ ognuno avrà il suo aggettivo. Quando Kurt Cobain propose al resto dei Nirvana la bozza di un nuovo brano basato su una sequenza di accordi che ricordava parecchio ‘More Than a Feeling’ dei Boston, Krist Novoselic sulle prime la liquidò come “ridicola”. Fu sempre il bassista a suggerire l’andamento lento della sezione ritmica con la batteria di Dave Grohl che dettò i tempi di quello che, ancora a loro insaputa, stava per diventare un inno generazionale di portata globale.
Quando Kathleen Hanna scrisse con la bomboletta spry “Kurt smells like Teen Spirit” ( “Kurt profuma di Teen Spirit” ) su di un muro di casa Cobain, non alludeva ad alcun spirito ribelle adolescenziale del suo amico ma a un deodorante per ragazzi lanciato proprio nel 1991 dalla Mennen. Invece Kurt prese fischi per fiaschi e da questa sigla ingiuriosa nacque l’idea del brano che da lì a poco avrebbe aperto il secondo disco dei Nirvana, cambiato per sempre la musica e influenzato diverse generazioni di ragazzi e ragazze.

Il 17 aprile del 1991 all’Ok Hotel Live Arts Entertainment di Seattle i Nirvana eseguono per la prima volta dal vivo Smells Like Teen Spirit. Ancora oggi a 30anni di distanza temporale si dibatte a ogni latitudine su quale sia il suo reale significato.
“Sentivo il dovere di descrivere quello che provavo circa quel che mi circondava e la mia generazione” dichiarò il diretto interessato alimentando ulteriormente mito e confusione. Ma alla fine è così importante? Forse sarebbe più rilevante constatare quanto ha suscitato in ogni persona a partire da quel fatidico 10 settembre 1991, quando la Geffen pubblicò ‘Nevermind’. Da allora, attraverso una crescente diffusione radiofonica che dalle emittenti specializzate passò rapidamente alle major e grazie al video diretto da Samuel Bayer, che entrerà nel Guinnes dei primati come quello più trasmesso da MTV Europe, la canzone manifesto dei Nirvana si diffonderà a macchia d’olio in tutto il globo.
La macchia raggiunge la Barbagia nell’estate del 1992. Allora ero un quattordicenne reduce dal primo anno di scuola superiore e alle prese con le ripetizioni di matematica e inglese in vista degli esami di riparazione di settembre. Ascoltavo già tanta bella musica assorbita dai nuovi compagni di classe ( Litfiba – Clash – Sex Pistols – Iron Maiden – Metallica – Skiantos – CCCP – Rolling Stones – Kenze Neke ecc.) e seguivo assiduamente le trasmissioni e i video che passavano nella tanto gloriosa, quanto rimpianta, Video Music.

Un bel giorno appare sullo schermo questa band a me sconosciuta. Il pezzo è uno di quelli che ti prendono per lo stomaco al primo ascolto, due montanti in faccia che ti scatenano rabbia, adrenalina, energia travolgente e voglia di spaccare tutto. Questa fu, per me, ‘Smells Like Teen Spirit’. Una pietra miliare della mia adolescenza e dell’adolescenza di quella generazione che da allora vestirà spesso con camice a quadri da boscaiolo della contea di King e riempirà pagine di diari e agende di versi violenti e disperati. Poi arrivarono ‘Come as You Are’, ‘In Bloom’ e tutto ‘Nevermind’, rigorosamente in audiocassetta duplicata, con copertina disegnata orribilmente a mano dal sottoscritto, che letteralmente consumai.
Sarebbe quasi superfluo aggiungere che da allora, ogni qualvolta ho avuto occasione di far ascoltare e ballare la “mia” musica ( e non sono affatto poche ) questa canzone e tante altre dei Nirvana, abbiano avuto un posto fisso in scaletta. Il perché non ha bisogno di tante giustificazioni. Ma se proprio ne vogliamo trovare una, sta nella reazione al primissimo accordo sparato dalle casse, quando il pubblico percepisce e accoglie questi brani fisicamente, con un tripudio di braccia alzate, urla e teste dondolanti che fanno da preludio al pogo che si scatenerà da lì a poco.
Il resto, l’insolente pretesa di dare una spiegazione a quello che per fortuna non si può spiegare, il volerci trovare a tutti i costi istinto ribelle, licenziosità, frustrazione, fragilità sono atti sterili per amplificare il mito attorno a un ragazzo che tutto voleva essere tranne megafono generazionale. Con molta probabilità fu proprio questa pressione mediatica, questa eccessiva aspettativa da parte dei fans accompagnata da un successo ingenuamente auspicato e sognato, ma rivelatosi ingestibile e insopportabile a uccidere Kurt Cobain. E la morbosa insistenza nel trovare spiegazioni e perché, continua a farlo ancora oggi.
Ci sono rimaste la sua musica e la sua poesia, che come ogni forma d’arte non andrebbero spiegate o capite ma “respirate” e “sentite”. Questa dovrebbe essere la cosa importante e questo dovrebbe bastare anche a chi lo ha amato visceralmente. Tutto il resto nevermind. Veramente, non conta.