Un ritmo intenso e senza sosta, come quello delle storie che racconta sul palco. L’attore e autore sassarese Michele Vargiu, da tre anni, gira l’Italia portando in scena esistenze straordinarie nella loro ordinarietà. Vite di uomini e donne che attraverso le loro gesta sportive hanno sovvertito l’ordine delle cose.
Il progetto della “Trilogia dello Sport”, serie di spettacoli scritti e interpretati da Vargiu con la regia di Laura Garau, ha come protagonisti Johann Trollman, pugile di origini sinti diventato campione nella Germania nazista e morto in un campo di concentramento, Alfonsina Strada, prima donna ciclista a correre il Giro d’Italia nel 1924 e il “Gruppo Femminile Calciatrici Milanese”, prima squadra femminile di calcio nata in Italia nell’estate del 1932.
Mercoledì 29 marzo alle 21 Michele Vargiu sarà a Sassari con “Le fuorigioco”, in programma all’Auditorium provinciale di via Montegrappa. Lo spettacolo, prodotto da Teatro Tabasco e Meridiano Zero, chiude la rassegna “Trilogia dello Sport” organizzata a marzo da FaròTeatro e Arts Tribu per il pubblico sassarese, con un grande riscontro di presenze e gradimento. I biglietti sono disponibili sul sito di Arts Tribu o direttamente a teatro la sera della rappresentazione.
“Le Fuorigioco” racconta la storia della prima squadra di calcio femminile mai costituita in Italia, nata a Milano dal desiderio di Marta, Rosetta, Losanna e Ninì, un gruppo di amiche unite dalla passione per il pallone. Il “Gruppo Femminile Calciatrici Milanese” sfidò il regime fascista e il costume dell’epoca, che considerava le donne inadatte a uno sport tipicamente maschile.
Lo spettacolo rievoca, con un racconto a più voci, il lavoro di squadra per quella che divenne una sfida sociale oltre che sportiva, un vero e proprio capovolgimento delle regole per la realizzazione di un sogno.
Michele Vargiu, fondatore della Compagnia Teatro Tabasco insieme alla collega Lisa Moras, rappresenta quel teatro di narrazione capace di catturare l’attenzione dello spettatore senza il bisogno di grandi scenografie o produzioni milionarie. I suoi monologhi hanno il potere di evocare storie, mettere in scena moltitudini di personaggi, dando al racconto lo stesso ritmo di un pugile sul ring, di una lunga pedalata in bicicletta o di una partita di calcio.
Lo abbiamo incontrato per fargli alcune domande.
Perché una persona al giorno d’oggi dovrebbe andare a teatro?
I motivi sono tanti e ad elencarli uno ad uno rischierei di essere noioso. Mi limito ad elencarne due: il primo è che al giorno d’oggi, in cui fra serie tv e prodotti audiovisivi di altissimo livello siamo bombardati costantemente di immagini stiamo perdendo, paradossalmente, la capacità di immaginare, di lasciare che una suggestione possa farsi largo nei nostri pensieri fino a rapirci e coinvolgerci. Questo è quello che il teatro di narrazione si propone di fare: dare gli elementi di una storia, renderli “vivi” sotto l’occhio dello spettatore per fare in modo che costruisca autonomamente la propria versione della storia, dando un volto ai personaggi, immaginandosi luoghi e dettagli dell’azione, aiutato dal narratore. Il secondo è che a teatro si ritrova una dimensione di scambio prima di tutto umana. La restituzione di una storia non è che uno degli elementi che accadono: in sala ci si emoziona, si ride, si sente la presenza dell’altro, degli altri. Ci si sente in qualche modo parte di una comunità, di un qualcosa di più grande. E l’emozione che può arrivare da qualcosa che accade lì, in modo pressoché irripetibile, sotto i nostri occhi, è difficilmente replicabile anche dal miglior schermo in alta definizione!
Qual è la reazione del pubblico di fronte alle storie di atleti e atlete così straordinari seppur magari poco conosciuti?
La reazione del pubblico è stata e continua ad essere sorprendente: ho cominciato a portare in giro queste storie nel 2019 con il primo capitolo della trilogia, e la gente ha dimostrato un affetto, un’empatia e una vicinanza commovente. Il lavoro registico svolto da Laura Garau ha contribuito poi sensibilmente a rendere queste storie fruibili veramente da chiunque: uno dei commenti che riceviamo più spesso, al termine degli spettacoli, è: “È stato come vedere un film!” e ci colpisce che in una serie di spettacoli dove non ci sono scenografie ed effetti, ma solo un narratore, possano arrivare tutte queste coinvolgenti suggestioni. Il fatto che storie apparentemente “piccole” e personaggi non molto conosciuti possano aver lasciato un segno così importante nella storia della nostra società emoziona e colpisce. Molto spesso gli spettatori hanno approfondito la conoscenza delle figure che raccontiamo, studenti di varie parti d’Italia hanno a loro volta lavorato sui protagonisti di queste storie e sui temi che affrontiamo negli spettacoli, che molto hanno a che fare con l’emancipazione e i diritti umani.
Quali sono i tuoi prossimi programmi?
Gli spettacoli della “Trilogia dello Sport” proseguiranno il loro viaggio anche nelle prossime stagioni: abbiamo superato le 130 repliche e abbiamo in programma di portare in giro questi lavori almeno per i prossimi due anni. Al momento si stanno definendo le date estive e sono impegnato in una grande produzione in Trentino Alto Adige insieme ad altri 15 attori e, per non farmi mancare niente, sto scrivendo un nuovo testo, un monologo per attrice, che sarà la prossima produzione della nostra compagnia e che debutterà nel prossimo autunno.