È uscito nel dicembre 2022 il disco di ARE, Andrea Ruggeri Ensamble, dal titolo ‘Musiche Invisibili’ per Da Vinci Jazz, che negli ultimi mesi ha fatto molto parlare di sé. È un lavoro iniziato molti anni fa, nel 2014 quando Ruggeri concepisce la prima idea di un progetto ambizioso, quello di trasporre in musica alcune delle ‘Città Invisibili’ dal celebre romanzo di Italo Calvino e che nella sua mente diventano subito ‘Musiche Invisibili’.
Il batterista e compositore è di origine sarda ma nel 2008 si trasferisce a vivere in Veneto dove stabilisce la sua nuove base operativa dopo quasi vent’anni di collaborazioni con Elena Ledda, con cui ancora suona, e iniziando altri viaggi musicali con il pianista Oscar Del Barba in trio o quartetto con cui pubblica un disco e con il Gramelot Ensamble del chitarrista Simone Guiducci.
Ruggeri è un batterista dai molti suoni e dalla grande versatilità. Negli ultimi anni il suo approccio si è aperto sempre più a un’idea di commistione di stili, rendendo le sue performance generalmente molto sfaccettate e poliedriche, muovendosi in una terra di confine in cui liberamente confluiscono folk, jazz e suoni anche non direttamente riferibili a un genere specifico, quelle che oggi vengono chiamate “nuove musiche”.
Tredici musicisti e sette città
‘Musiche invisibili’ passa attraverso un combo di tredici musicisti, molti dei quali polistrumentisti. Voci, fiati, archi, chitarre, pianoforte, vibrafono, fisarmonica, batteria e piccole percussioni e live electronics sono la compagine strumentale che crea gli ambienti sonori delle città scelte da Ruggeri. Mettere assieme questo gruppo di musicisti è stato meno impegnativo della scelta delle città per il disco, perché scegliere sette città su cinquantacinque è qualcosa che può davvero mandare in crisi. “Conto su un gruppo di musicisti straordinari che stanno rendendo possibile un progetto complesso e articolato” ci ha detto Ruggeri, che abbiamo raggiunto per una chiacchierata su questo interessante e originale progetto.
Se dovessi scegliere i brani che sono maggiormente rappresentativi del ventaglio di sonorità e ritmi, quali nomineresti per darci un’indicazione di ascolto?
“Non è facile. È come se tutti i brani fossero delle mini suite dentro una suite più grande. A me piace trovare un equilibrio tra stati d’animo, timbri, ritmi, quindi forse ti potrei dire ‘Zaira’ perché è molto rappresentativa di tutta la sonorità dell’ensemble, ‘Tamara’ per i ritmi e ‘Dorotea’ che è la più cittadesca”.
Il tuo modo di lavorare attinge a un’immagine o oggetto portante, come hai fatto in ‘Rituali’, dedicato alle maschere rituali, o ‘Nativi’, rimasto inedito, che ruota attorno agli indiani d’America. Come ti sei mosso per quest’ultimo disco?
“E’ mia abitudine comporre a prescindere e mettere nella cartella musicale dedicata quello che compongo e che magari userò. Parto da una mia soggettività e la connetto a delle cellule sonore. Ho iniziato a razionalizzare scrivendo musica ma poi ho attinto alla famosa cartella di materiale sonoro che a mio avviso conteneva roba scritta che andava bene in base a quanto stavo leggendo in ‘Le città invisibili'”.
Quali progetti per questo lavoro?
“Quasi non riesco a stare appresso a interviste e recensioni e ne sono molto grato. Il mio desiderio più grande e portare questo lavoro dal vivo il più possibile, fare molti concerti. Come sviluppo mi piacerebbe usare le arti multimediali, far incontrare i suoni con le immagini e quindi sto già incontrando dei video-artist, alcuni mi piacciono già molto”.
Quale desiderio per un futuro più lontano?
“Mi piacerebbe musicare tutte e cinquantacinque le città invisibili, chissà… magari per la pensione ce l’avrò fatta”.