Metti insieme la tempesta più grande del secolo, dal nome di donna, un condominio di personaggi in preda alla frenesia da salvezza, un’attrice alle prese con la ricerca della parte della sua vita e il risultato sarà “Agata”, “una piccola tragicommedia condominiale con un disastro intorno”, come la definiscono Laura Garau, interprete e Michele Vargiu, che ne ha curato drammaturgia e regia.
“Le tempeste di fuori prima o poi finiscono. Le tempeste di dentro, invece, quelle sì che sono un gran pasticcio”. E mentre là fuori tutti corrono a fare provviste, in una lotta all’ultimo scaffale per poi chiudersi in casa, la protagonista ne approfitta per girare l’ennesimo self tape, nella speranza di ottenere la parte che insegue da una vita. In scena Laura Garau, attrice e regista, impegnata in un monologo tragicomico, un lungo flusso di coscienza in cui si alternano riflessioni sulla vita, l’amore e il destino del mondo. L’attesa di Agata, la bufera in arrivo dagli effetti devastanti, è l’occasione per un viaggio interiore, una sorta di seduta psicanalitica collettiva nella quale domande e risposte si alternano, coinvolgendo il pubblico in un susseguirsi di risate ed emozione.
Michele Vargiu, regista e autore dei testi, propone ancora una volta una serie di figure femminili alle quale dare voce, come già negli altri spettacoli “Le fuorigioco” e “Perdifiato” con cui ha vinto il premio Palco Off del Catania Off Fringe Festival come miglior attore e miglior soggetto.
Lo spettacolo, coprodotto da Compagnia Meridiano Zero e Compagnia VaGa, ha debuttato il 6 ottobre scorso al “Guarda Oltre Festival” di Pordenone e ha proseguito il suo viaggio a Roma in novembre. Da gennaio ripartirà da Sassari (il 19, 20 e 21 allo Spazio Bunker) per poi arrivare in Sicilia, a Castelbuono e Palermo e proseguire il suo viaggio per vari teatri e festival. Abbiamo incontrato Laura Garau per parlare con lei di Agata.
Chi è la protagonista dello spettacolo? Come ti sei preparata per entrare nel personaggio?
La protagonista è una donna, un’attrice, una collega quindi, peraltro mia coetanea, che incontriamo in un momento di forte crisi personale e professionale. Una trentaduenne che si trova a fare i conti con un mestiere difficile e spesso spietato che vive una vita incerta e di grande solitudine, nonostante sia circondata da altre persone, da molte persone! Nemmeno in scena è da sola, non è il solo personaggio infatti che incontriamo nel corso dello spettacolo e che mi trovo a interpretare. Non è semplice approcciarsi a un ruolo con il quale si hanno tante cose in comune. Come dicevo siamo coetanee, facciamo lo stesso lavoro, viviamo un corpo esteticamente non conforme pur facendo un lavoro che spesso – per non dire quasi sempre- richiede canoni estetici ben precisi. Al contempo però siamo profondamente diverse. Abbiamo fatto perciò conoscenza gradualmente. La prima volta che ho approcciato il testo e che ho sbirciato nella vita della protagonista è stato all’inizio di questa estate: le prime letture sono state di avvicinamento e di analisi, ho fatto memoria quasi subito per sentirmi più libera nella seconda fase di ricerca fisica e vocale. È stato un primo allestimento abbastanza veloce, per due settimane ci siamo chiusi nella sala prove della compagnia che coproduce lo spettacolo, lo Spazio Bunker della Compagnia Meridiano Zero. Ma è solo ora che lo spettacolo ha incontrato pubblici diversi sento di star finalmente imparando a conoscerla.
Qual è stata la sfida più significativa nel portare sul palco un monologo che mescola elementi di tragedia e commedia? L’alternanza di commedia e tragedia per me è la parte più stimolante e geniale di questo testo, così vicino alla vita, così realistico nonostante l’ambientazione in un tempo futuro ma indefinito. È uno spettacolo nel quale si ride tanto ma che al contempo porta in scena temi estremamente attuali e che tanti sentiamo più o meno pressanti come il cambiamento climatico, la solitudine, il senso di inadeguatezza. Come interprete la sfida maggiore è stata quella di mettere a nudo insicurezze e tematiche che appartengono alla protagonista del testo ma che sento profondamente mie: la grassofobia e la rappresentazione tra tutte.
Per te e Michele è fondamentale il rapporto col pubblico, la rottura della “quarta parete” e la ricerca di un contatto che fa del teatro un’esperienza collettiva. Qual è il feedback che hai ricevuto finora durante e dopo lo spettacolo?
Dici bene, anche in Agata il pubblico è interlocutore diretto che ride e piange insieme alla protagonista. Alla base del progetto drammaturgico infatti c’è l’idea che il tempo che pubblico e protagonisti della vicenda passano insieme sia condiviso, potrebbe trattarsi di un’ora come di una giornata intera nella quale stare insieme mentre fuori arriva l’inevitabile, la tempesta più potente degli ultimi decenni. I feedback ricevuti sono molto positivi, il pubblico ride molto e si commuove, ma i feedback che più mi ha fatto piacere ricevere sono quelli di chi mi dice di non avermi riconosciuta in scena, una bella medaglia per quanto mi riguarda.
Come pensi che il teatro indipendente, che si diffonde principalmente attraverso il passaparola e fuori dai grandi circuiti, possa contribuire alla fruizione culturale e alla connessione tra gli spettatori?
Credo che il teatro tutto contribuisca alla fruizione culturale e alla connessione tra gli spettatori, a maggior ragione un teatro che si appoggia unicamente su se stesso e non è aiutato dalla grande distribuzione. Lo dimostrano questi anni di attività, dove chi ha avuto modo di conoscerci ci richiama, dove gli spettatori tornano a vederci anche a scatola chiusa e consigliano il nostro lavoro ad amici e paranti. Quale maggiore connessione, infatti, se non quella della volontà di passaparola, della condivisione di un vero e proprio rituale, dello stare insieme in una stanza dove credere, parafrasando Proietti, a ciò che è finto ma niente è falso?
Nel corso delle prossime repliche lo spettacolo continuerà a prendere forma?
Assolutamente sì, crescerà ulteriormente grazie alla collaborazione di un sound e lighting designer bravissimo, Alberto Biasutti, con il quale lavoreremo ad un riallestimento ancora più immersivo e che darà ad Agata, l’impetuosa tempesta che da titolo allo spettacolo, vera protagonista della vicenda, maggiore tangibilità in termini di luci e suoni.