Sabato 18 maggio al Teatro Eliseo di Nuoro verrà presentato in anteprima nazionale ‘L’Amore e la Gloria’, il lungometraggio di Maria Grazia Perria che, dopo aver raccontato Antonio Gramsci in ‘Nel mondo grande e terribile’ del 2017, ha portato sul grande schermo la vicenda umana e letteraria della giovane Grazia Deledda, interpretata, al suo esordio cinematografico, da Marisa Serra. Il film, prodotto da Salvatore Cubeddu e Terra de Punt, il 20 maggio arriverà anche a Cagliari, con due distinte proiezioni e la presenza del cast, al cinema Odissea.

“Sono nata in Sardegna. La mia famiglia, composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei. Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti; se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora; se va per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta. Senza vanità anche a me è capitato così”. Così raccontava Grazia Deledda a Gavino Gabriel nel 1933, e non, come viene spesso riportato, alla platea di Stoccolma il giorno in cui le fu conferito il premio Nobel nel 1926, quando invece parlò dell’ambiente delle sua infanzia e della sua gioventù, dove apprese “i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo” che avevano formato la sua arte, “come una canzone od un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”.
La famiglia Deledda – Cambosu e l’ambiente rurale della Nuoro di fine Ottocento fanno da sfondo agli anni giovanili di Grazia Deledda che Maria Grazia Perria ha efficacemente riprodotto nel suo lungometraggio denso di nebbie, colori opachi e piccoli sprazzi di sole, dove tuttavia sono i dialoghi a farla da padrona e dove le parole estrapolate dagli scritti formano un avvincente filo conduttore sulle vicende della scrittrice nuorese per la quale quell’ambiente soffocante è la sua più grande sciagura ma diverrà presto anche la sua più grande fortuna che la consegnerà alla gloria del Nobel e al successo planetario.
“Per rappresentare Grazia – racconta la regista – mi sono basata sui carteggi, le lettere sono una fonte inesauribile di notizie, curiosità e soprattutto rendono molto il carattere della Deledda, perché era veramente sfacciata, con una sensualità prorompente e con una notevole ambizione. Nonostante la giovane età, aveva una certa consapevolezza delle sue qualità e del suo dono, perché per scrivere e saper raccontare un mondo è necessario che ci sia un minimo di dono. Chiaramente anche i racconti hanno avuto il loro peso, mi sono concentrata sulle sue opere giovanili, sul passaggio da una scrittura molto da feuilleton, nutrita da letture che lei faceva sulle riviste, a una scrittura che diverrà il suo marchio di fabbrica e che avviene molto presto, quando passa da ‘Sangue Sardo’ a ‘Fior di Sardegna’ e a ‘La Via del Male, un romanzo che io amato molto e al quale ho voluto dare spazio anche nel film, così come ‘Cosima’, il suo lavoro più autobiografico pubblicato postumo.

Per questi motivi ‘L’Amore e la Gloria’ non è un film da guardare con eccessiva disinvoltura. Nei dialoghi, in italiano e in lingua sarda, e nella narrazione fuori campo, sta la chiave di lettura per comprendere la pena della giovane Grazia, interpretata al suo esordio cinematografico dalla brava Marisa Serra, in una efficace operazione di osmosi attuata dalla regista dove “i sentimenti le sensazioni, le esperienze, le emozioni di Grazia si trasferiscono nella sua scrittura in un continuo e reciproco travaso di immagini sia reali che fantastiche, tutto ciò che è servito a costituire il suo mondo immaginario. Il film dunque rende conto di questo scambio, di questo travaso tra mondo reale e mondo dell’immaginazione, annullando i confini e integrando le interazioni tra personaggi reali e personaggi di fantasia”.
Maria Grazia Perria è riuscita a portare sullo schermo l’essenza della narrazione che farà la fortuna della Deledda, quella che comprese pienamente David Herbert Lawrence quando ebbe a scrivere che “La Sardegna non è affatto terra per Giuliette e Romei e neppure per Vergini delle Rocce. È piuttosto la terra di Cime Tempestose”. La brughiera dello Yorkshire diventa il Monte Ortobene o il Corrasi, ma la tormenta che agita la giovane Grazia non è poi così diversa da quella che aveva sconquassato l’anima di Emily Brontë. Quell’inquietudine sarà il più grande stimolo che la porterà ad abbandonare per sempre quel mondo che era diventato insopportabilmente troppo stretto e che attraverso Cagliari, dove la sua vita sentimentale e professionale ebbero una svolta repentina e dove trascorse quella che definì “la tappa più felice della mia vita”, prese il volo verso quel mondo “grande e terribile” di gramsciana memoria che la stessa regista ha raccontato nel 2017.