Ci sono voluti sessant’anni perché Antonio ‘Nino’ Garau, cagliaritano, classe 1923, decidesse di condividere i suoi ricordi di partigiano. Sessant’anni in cui ha dovuto custodire pensieri dolorosissimi e allo stesso tempo scontrarsi con una memoria della Resistenza spesso superficiale, frettolosa, imprecisa. Oggi “La resistenza di Geppe. Diario di un giovane sardo che scelse di combattere per la libertà e la democrazia” è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice Soter a cura di Walter Falgio grazie all’impegno di Issasco, l’Istituto sardo per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea. Nel rispetto delle sue volontà, le pagine del diario sono state pubblicate dopo la sua morte, avvenuta il 12 luglio 2020: il motivo di questa scelta è spiegato dallo stesso Garau: “Non vorrei che i miei comportamenti e le mie azioni durante la Resistenza fossero risucchiati da quella grossa marea di scritti avvenuta dopo la Liberazione”.
La brigata partigiana a Spilamberto
Nell’agosto 1943, mentre gli Alleati entravano in Italia dopo lo sbarco in Sicilia, il ventenne Antonio Garau si trovava a Forlì, in licenza dall’Accademia aeronautica che frequentava. Dopo l’armistizio trovò ospitalità nel modenese dalla famiglia materna. Qui fu decisivo l’incontro con uno zio, Gino Gibertini, che lo introdusse negli ambienti della lotta antifascista, e qui Garau insieme ad alcuni compagni fondò la prima Squadra di azione patriottica e la brigata a cui diedero il nome Aldo Casagrandi, “il primo dei nostri ragazzi ad essere stato catturato e impiccato dai tedeschi”. In poco tempo Nino, che scelse come nome di battaglia Geppe, condusse diverse operazioni decisive contro tedeschi e fascisti, grazie anche a una preziosa rete di collaborazione che coinvolgeva famiglie, contadini, artigiani, operai e diversi preti. Tutta la popolazione era coinvolta, tanto che Garau nel suo diario in più passaggi ricorda la grande solidarietà diffusa, le tante persone impegnate come informatori, guide e staffette, e le donne più anziane che preparavano pasti, allestivano alloggi e curavano le persone ferite e sofferenti, oltre che dare “parole di conforto nei momenti cruciali”. “La partecipazione delle donne italiane alla battaglia per la libertà del Paese è stata significativa – scrive nel diario – e in molte occasioni decisiva. Ciò che suscita in me un vero risentimento è il fatto che il loro contributo alla Resistenza sia stato poco riconosciuto dalla letteratura e dalla storia partigiana”.
LEGGI ANCHE: 25 aprile. Eleonora e le altre, le donne sarde fra guerra di liberazione e prigionia
Uno dei momenti più drammatici fu l’arresto da parte dei tedeschi il 31 dicembre 1944: Garau fu imprigionato per venti giorni e sottoposto a torture durissime perché rivelasse informazioni sui partigiani. “Quel che mi salvò da non confessare niente fu uno stato di atarassia: mi sembrava di vivere in un mondo al di fuori dal nostro”. Geppe riuscì a fuggire grazie a un cagliaritano, Spartaco Demuro, e riuscì a tornare a Spilamberto dove riprese la lotta. Il 21 aprile 1945 iniziarono i tre giorni di lotta con cui i partigiani guidati da Garau liberarono il territorio: il 23 aprile, due giorni prima dell’arrivo degli Alleati, la zona era libera dai nazifascisti.

La delusione dopo la guerra
Antonio Garau è stato protagonista della Resistenza italiana e ha contribuito alla liberazione del Comune di Spilamberto e del territorio modenese. Per questo motivo 25 anni dopo la guerra ha ricevuto la medaglia di bronzo al valore militare, nel 2005 è stato insignito della cittadinanza onoraria di Spilamberto, nel 2016 gli è stata conferita la medaglia della Liberazione dal Ministero della Difesa. La vita da ex partigiano non è stata facile: rientrato a Cagliari, dove si è laureato in Giurisprudenza, ha dovuto fare i conti con discriminazioni e pregiudizi contro i partigiani. Non solo: nel 1949 venne arrestato e incarcerato a Buoncammino con l’accusa di omicidio in seguito a una denuncia anonima, ma dopo 10 giorni venne scagionato. “La mia delusione si manifestò prima di tutto quando vidi le fredde reazioni della società cagliaritana alla mia esperienza di partigiano – ha scritto Garau nel diario – Vedo scrittori che basano le loro opere sull’idea che, seppur ci sono tanti che elogiano i partigiani, gli stessi hanno commesso anche altri delitti e tutta una serie di fatti che potrebbero essere anche veri. Molti di quelli che hanno parlato bene dei partigiani e molti politici attuali ogni tanto fanno riferimento a una guerra civile. No, a questo non ci sto. […] Era una guerra tra Alleati e i tedeschi a cui gli italiani si affiancavano o agli uni o agli altri. Guerra civile si usa spesso perché si vogliono paragonare i repubblichini ai partigiani e farne tutti combattenti. Eh no, io non ci sto!”.
Nino Garau, la memoria
Dopo la laurea, Antonio Garau entrò alla Regione Sardegna come funzionario, e dal 1960 fino alla pensione fu Segretario generale del Consiglio regionale. In questi anni in pochi sapevano del suo passato da partigiano, ma all’età di 83 anni, incontrando un gruppo di ricercatori dell’Istituto sardo per la Resistenza, raccontò i dettagli della sua lotta per la liberazione nel Modenese. Da qui nacque un documentario, “”Geppe e gli altri. Storia di vita di un comandante partigiano sardo” a cura di Francesco Bachis, e una serie di articoli, interviste e altri incontri pubblici. Pochi mesi fa Laura Stochino, insegnante e componente dell’Issasco, ha curato un laboratorio con i ragazzi di un liceo classico cagliaritano per la costruzione di una voce Wikipedia dedicata a Nino Garau. La pubblicazione del diario di Geppe è l’ultimo tassello di un prezioso lavoro sulla memoria attorno alla Resistenza e il giusto riconoscimento alle azioni e al coraggio di uno dei suoi protagonisti.
“La miglior ragione è la pace”
“Posso dire di aver conosciuto l’intera società umana con i suoi pregi e i suoi difetti – ha scritto Nino tra le ultime righe del suo diario. – Ma ciò che più conta per me è aver vissuto la guerra in prima linea, e aver vissuto la pace. Oggi posso dire che nella guerra anche i vincitori non vincono, perché l’uccisione di un vincitore non essere ripagata dalla vittoria di una nazione. Non possono essere ripagate le famiglie che hanno perso figli, i poveri cagliaritani che hanno subito i bombardamenti e perso le persone care (centinaia di morti). La guerra non la vince nessuno. La guerra è morte sia per i vinti che per i vincitori. La miglior ragione è la pace”.