Se c’è una consapevolezza con cui si è concluso il 2021, complice anche il meeting sui cambiamenti climatici di Glasgow, è che il nostro pianeta sta inesorabilmente scivolando verso un precipizio di plastica. Secondo il WWF, 450 milioni di tonnellate prodotte ogni anno rendono la plastica il più pericoloso agente inquinante della nostra epoca. Anche perché difficilmente riciclabile.
Quando si parla di ‘plastica’ si intende infatti di un insieme di materiali chimici differenti, alcuni dei quali, come i termoindurenti e gli elastomeri, ancora reputati particolarmente complessi da rilavorare, mentre altri, come il polipropilene, hanno un numero limitato di riusi. Se si può sperare che i progressi scientifici vadano avanti in quest’ambito e si possa arrivare a dare una seconda vita ad un numero di rifiuti sempre più ampio, si deve anche considerare che al momento l’elevato consumo di plastica accompagnato dalle difficoltà di cui sopra fa sì che circa otto milioni di tonnellate ogni anno finiscano in mare, creando gli ormai noti continenti artificiali formati dai rifiuti che le correnti spostano nell’Oceano, la cui dimensione è sempre più rilevante: per l’organizzazione non-profit The Ocean Clean Up, la maggiore tra queste isole di plastica misura 1,6 milioni di chilometri quadrati, tre volte la Francia. La sua dimensione è, ovviamente, destinata ad aumentare. Così come è destinata ad aumentare la quantità di plastica che fluttua dentro al mare stesso, tanto che gli scienziati sono ormai unanimi nel considerare che nel 2050 nel mare ci saranno più rifiuti che pesci.
Ma, nell’attesa che i governi dell’Europa e del Mondo mettano in atto delle contromisure efficaci, cosa può fare ciascuno per evitare di contribuire in maniera massiccia alla dispersione dei rifiuti plastici in ambiente? Oltre a prestare attenzione a differenziare in maniera corretta la plastica rispetto agli altri rifiuti, è necessario arrivare a consumarne – e, dunque, produrne – sempre meno.
Nella galleria, plastica raccolta nelle coste del Mediterraneo
Ecco di seguito tre azioni semplicissime con cui cominciare un 2022 più plastic free.
Una borraccia salvavita
L’Italia è il maggior consumatore europeo di acqua in bottiglia. Nonostante una rete idrica che fornisce acqua potabilissima, secondo il report 2021 di Area Studi Mediobanca gli italiani bevono 222 litri pro capite di acqua minerale ogni anno. Se si dividono questi 222 litri annui per il contenuto di una bottiglia media, cioè 1.5 litri, si scopre che se invece che acquistare l’acqua minerale venisse acquistata una borraccia e si bevesse l’acqua del rubinetto, ogni italiano risparmierebbe 148 bottiglie. Che, in una famiglia di quattro persone, significa salvare 592 bottiglie di plastica all’anno, oltre che risorse economiche. E, moltiplicato per i 59.259.000 di abitanti censiti nel nostro Paese nel 2021, scopriamo che bevendo l’acqua dalla borraccia si eliminerebbero dall’ambiente 8.770.332 bottiglie d’acqua da un litro e mezzo.
Il bicchierino del caffè
Un classico degli uffici è la macchinetta per il caffè: chi, tra i lavoratori pubblici o privati, si priverebbe della possibilità di un buon espresso mattutino? Insieme alla macchinetta, però, arrivano anche i bicchierini – di plastica -, la paletta – di plastica -, e la cialda – rigorosamente di plastica. Come fare, dunque, per salvare il pianeta senza rinunciare alla tradizione? Semplicissimo: portarsi le stoviglie da casa, lasciandole in ufficio in modo da essere certi di non dimenticarle, è un ottimo modo per contribuire alla salvaguardia del Pianeta. Se poi, invece che le cialde classiche, si decidesse di utilizzare quelle in alluminio, o le capsule in carta, o, addirittura, si tornasse alla buona vecchia moka, il mare ne sarebbe certamente grato.
Spesa sostenibile
Spesso non si pensa a quanto un’azione abituale come quella di fare la spesa possa essere importante per il mondo. È sempre più frequente vedere nei market, in particolare nella grande distribuzione, la frutta e la verdura impacchettata in imballaggi di plastica. Come è facile notare grazie alle denunce sempre più presenti sui social, oltre alle note messe in evidenza già da anni dagli ambientalisti, talvolta ad essere imballati sono i prodotti che la natura stessa aveva già provveduto a conservare: arance sbucciate e plastificate, banane il cui interno è preservato col cellophane, addirittura uova soda senza guscio ma rigorosamente avvolte in un materiale plastico. Smettere di comprare frutta e verdura in confezione di plastica non solo non rende complici di un attentato terroristico nei confronti della natura, ma spinge il mercato in una direzione opposta. Ne sono un esempio i locali plasticfree, dove la spesa si fa alla spina: detersivi, saponi, legumi e tutto ciò che viene generalmente imballato è venduto sfuso: il contenitore lo si porta da casa. Sempre lo stesso, e si risparmiano complessivamente altre tonnellate di plastica.
Le tre azioni appena elencate sono alla portata di tutti e consentono un risparmio non solo in termini ecologici ma anche in termini economici. In un mondo in cui il denaro è il parametro con cui si misura la vita, è banale sottolinearlo. Sottolineare che azioni semplici e quotidiane come queste possono salvare la nostra epoca è invece necessario.
(la foto di anteprima è di www.wwf.it)