Non è mai facile dirsi “addio”. Lo è ancora di meno oggi, in cui ci troviamo costretti a rivolgere l’ultimo saluto a Tino Petilli, uno dei più famosi interpreti del teatro sardo.
Classe 1937, se n’è andato ieri sera a 87 anni, in silenzio, come peraltro era stato negli ultimi tempi, dopo un’esistenza dedicata al palcoscenico. Ormai costretto a vita ritirata per via dell’età e della malattia, le ultime apparizioni pubbliche si contano sulle dita della mano. La più recente – forse – risale alla scorsa primavera, al Teatro Houdini di via Molise, a Cagliari, per la celebrazione delle origini di Radio Sardegna, insieme agli amici e ai colleghi di sempre: Giovanni Sanna e Mario Faticoni.
In quell’occasione, che avevamo raccontato qui, si era esibito recitando magistralmente pezzi tratti da “La Divina Commedia”, di Dante e “L’Infinito”, di Leopardi, con quel vocione fermo e profondo che lo ha sempre caratterizzato e che per tanti anni lo ha visto impegnato ai microfoni della sede regionale della Rai.
Con Giovanni Sanna, Mario Faticoni, Franco Bellisai e Gianni Esposito ha contribuito a fondare, negli anni ’70, la Cooperativa Teatro di Sardegna, che nasceva dalle ceneri del CUT – Centro universitario teatrale: qui si misurerà col teatro di Brecht in “L’eccezione e la regola” o “La bottega del pane”.
Sono anche anni di grandi contestazioni, quelli, dove sperimentare non sempre ripaga. Scriveva di loro Giorgio Pisano su “L’Unione Sarda”, rievocando un clima polemico di eccessi ideologici e di scontro: “Sono rimasti loro a garantire lo zoccolo duro della passione, della coerenza, delle mani drammaturgicamente pulite: Tino Petilli con barba guevariana (…)”. Con quello stesso spirito contribuirà ad animare, insieme al ‘compagno di scena’ con cui condivideva i natali veneti (Faticoni), la stagione al Teatro dell’Arco de Il Crogiuolo.
Infinitamente generoso, si è speso negli ultimi anni con la compagnia Il salto del delfino, interpretando testi di Pirandello, Dante e Shakespeare, sotto la guida di Nicola Michele. Sulla scena nazionale ha lavorato al fianco di registi del calibro di Rino Sudano, Giacomo Colli e Marco Parodi.
Ma non di solo teatro è lastricata la sua carriera: è passato sotto le luci della ribalta del cinema e della tv. Nel 1984 è stato volto noto del celebre “Cuore”, miniserie televisiva diretta da Luigi Comencini, tratta dall’omonimo romanzo di Edmondo de Amicis.
Amici e professionisti della scena affidano i loro pensieri e saluti di commiato ai social, ricordandolo non solo per il talento ma anche per la caratura morale. Mario Faticoni lo ricorda così: “Chi sa, ha l’occasione di dire la sua sull’arte d’attore. A me spetta testimoniare dell’umanità di questo mattatore passato da Dante a D’Annunzio, da Krapp a Bukowski. La morte è stata sempre sorella per lui, fonte di quieta professionale curiosità”.
Insomma, non bastano certo poche righe per tracciare il bilancio di una vita dedicata al teatro, fatta di prove, tournée e repliche; né spetta a noi farlo. Per dirla con le parole di De Filippo: “Il teatro è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto!”. Quando si scrive di artisti come Tino Petilli, parlare di vita e parlare di teatro significa parlare della stessa cosa. L’augurio è che – oltre al sacrificio – possa aver ricevuto anche molto calore dalla pratica del palcoscenico e non solo il gelo, magari quello delle stroncature.
Una cosa è certa: siamo tutti un po’ orfani, oggi. Di arte e di umanità condivisa. Rimane vivo il ricordo di chi c’era, e incancellabile resta l’impronta di un gigante buono, un sardo d’adozione come ce ne sono tanti, ma che ha saputo regalare all’isola un pezzo importante di storia del teatro come è consentito a pochi.