Una donna giace immersa in un profondo sonno, da cui riemerge come confusa e smarrita chiamando gli spettatori a testimoni della sua verità: “Cassandra VentiVenti”, la nuova produzione de Il Crogiuolo in collaborazione con Bötti du Shcöggiu, con drammaturgia e regia di Susanna Mannelli – in scena nei giorni scorsi a Casa Saddi a Pirri, Cagliari, per “Il Giardino dei Gelsi”, la stagione estiva de Il Crogiuolo – trae spunto dalla scrittura visionaria di Christa Wolf per affermare la necessità di un risveglio della coscienza.
Cassandra, interpretata da un’intensa Rita Atzeri, è ancora la profetessa, sacerdotessa di Apollo, che annunciò ai cittadini increduli la caduta di Troia ma è anche la fanciulla destinata sacrificare la sua verginità in un crudele e quasi cruento rito di passaggio, figlia del re ma succuba come le coetanee dei riti tribali di una civiltà ancestrale. Una creatura che proviene da un remoto passato, che vive il presente con uno sguardo al futuro: custode di segreti millenari, vittima della ferocia e dell’insensatezza degli uomini, fragile ma indomabile, ribelle alle regole e agli obblighi del suo rango, si sottrae all’ipocrisia e alle menzogne del palazzo reale per cercare rifugio tra i reietti e dimenticati, nell’affettuosa complicità e sorellanza delle comunità femminili sulle rive dello Scamandro.
Nel gioco della sua “follia”, come una strana febbre che la isola e allontana dagli altri mortali, la giovane donna rivive frammenti della sua storia, rinchiusa in una “gabbia” reale e simbolica rievoca figure e episodi del mito, seguendo i ricami di un prezioso arazzo (“disegnato” dall’artista Marta Fontana), si sofferma sul ricordo dell’amica Marpessa, sull’amore irrisolto per Enea, sull’incontro con il divino, su antiche tradizioni familiari, principesse rapite e ipotetiche ritorsioni, sui giochi di potere e sulla (in)evitabilità della guerra.
Sulle tracce di Christa Wolf, Susanna Mannelli reinventa la sua Cassandra insieme con l’attrice Rita Atzeri, trasportando la figlia veggente di Ecuba e Priamo in una dimensione fuori dal tempo, che sfiora l’eternità e insieme respira “dentro” la realtà, con la sua lucida consapevolezza dei vizi e delle virtù: la sua “malattia” la fa presaga di sventure ma la sua voce si perde in un silenzio assordante. Nessuno vuole conoscere il suo destino, nessuno vuole guardarsi nello specchio dei suoi occhi, né indagare fino in fondo negli abissi della propria anima.
L’antica eroina della tragedia e del mito è il fulcro di una narrazione apparentemente disordinata, in un affastellarsi di ricordi, dal ridestarsi della sua mente dietro le sbarre, tra la coperta variopinta dove s’intrecciano le trame di molte esistenze, i piccoli oggetti intagliati nel legno, i documenti perduti e dimenticati. Sull’evocativa colonna sonora disegnata da Antonio Pinna alle percussioni, in un dialogo tra musica e voce (o meglio le “voci” di un’epoca remota), Rita Atzeri incarna la figura affascinante e enigmatica, ai confini tra vita e sogno, di una donna sapiente e temeraria, ferita e respinta, umiliata, tuttavia lucida e determinata, una moderna pasionaria che rifugge dall’ambiguità delle parole e esorta i contemporanei e le donne e gli uomini di domani a “inventare” la pace, per interrompere l’interminabile serie dei conflitti, negati o taciuti, ma non per questo meno distruttivi e sanguinosi, senza lasciarsi intimorire dalla verità.
Una piece coinvolgente e dolorosamente attuale, che intreccia il racconto di Christa Wolf a intuizioni e suggestioni di filosofi e intellettuali e riflessioni personali sul nostro tempo, in una scena essenziale dominata dall’immagine di una gabbia – “mentale” più ancora che fisica – da cui la protagonista sfugge per intraprendere un nuovo viaggio, sospinta dal vento della libertà.
(le foto sono di Francesco Rosso di Uiza Paise)