Sa Die de sa Sardigna ha superato i suoi vent’anni di vita. Sancita il 1993, la sua prima edizione è stata quella dell’anno successivo, in occasione dei 200 anni dagli eventi cagliaritani del 28 aprile del 1794. Perché scelsero quella data? Le motivazioni sono state espresse a suo tempo e sempre allora vi fu chi propose altre date e persino altri personaggi (Eleonora d’Arborea al posto di Giovanni Maria Angioy, ad esempio).
Tale scelta ha comunque un senso, sopratutto se facciamo un paragone con altri eventi rivoluzionari che troviamo sul calendario. Prendiamo ad esempio la Francia e le sue celebrazioni del 14 luglio in ricordo della presa della Bastiglia. L’evento in questione è sicuramente oggetto di riflessione, soprattutto se pensiamo a quanto successo pochi giorni prima con la creazione dell’Assemblea nazionale costituente, o a quanto decretato il 4 agosto circa la fine del feudalesimo e, quindi, dell’Ancien régime. Ma il 14 luglio è passato alla storia come l’inizio della rivoluzione, ed è quindi festa nazionale.
Torrende a nois, era o non era, quanto successo a Cagliari, l’inizio anch’esso di una rivoluzione? Non vanno a vantaggio del paragone due questioni importanti: la prima riguarda gli esiti, vittoriosi in Francia e qui no; la seconda ha a che fare con il respingimento dei francesi proprio da parte dei sardi nel 1793 (zente cussizada male). Francesi che avrebbero potuto in un colpo solo liberarci dai Savoia e dal feudalesimo.
Ma la storia non è predefinita e non procede secondo un copione. E perciò anche le pur timide cinque domande indirizzate a Vittorio Amedeo III dagli Stamenti sardi (dopo la cacciata dei francesi) si inseriscono nel processo che culmina con il tentato arresto di Bernardo Pintor e Vincenzo Cabras e con la ribellione del popolo cagliaritano. E con la cacciata dei piemontesi.
Inizia quindi una rivoluzione con tutte le sue contraddizioni, con le rivolte antifeudali del Logudoro, con il viaggio di Angioy, con il suo inno (‘Barones sa tirannia’ è la nostra Marsigliese) e con i suoi tradimenti. Con tutta probabilità, se Angioy non fosse stato sconfitto ad Oristano e costretto alla fuga (verso una Francia post-rivoluzionaria che ormai non aveva più interesse a liberarci) avremmo avuto un altro esito. E se fosse entrato trionfalmente a Cagliari, come fece a Sassari, avremmo sicuramente avuto un’altra data.
Forse sarebbe stato quel giorno (che purtroppo non abbiamo conosciuto) sa Die de sa Sardigna. Ora abbiamo il 28 aprile. Che dopo vent’anni corre il rischio di essere ancora percepito soprattutto come un giorno di vacanza. Una data che non può rimanere vuota, che deve essere raccontata e discussa, soprattutto a scuola, e che deve farci riflettere circa il modello di Sardegna che vogliamo in questa inedita e turbolenta epoca che si sta aprendo.