A Bologna la band inglese apre il tour italiano registrando il sold out e raccogliendo una vera ovazione dal pubblico adorante.
I Cure sin dai loro esordi nel lontanissimo 1976 sono riusciti a ricavarsi una nicchia speciale nel cuore delle persone. Alfieri di un romanticismo contemporaneo sempre in bilico tra malinconia e bellezza, hanno saputo rinnovarsi nel tempo mantenendo quell’allure di mistero e dolcezza che ha conquistato generazioni di fan.
E i loro live sono infatti un rito sociale, prima ancora che un concerto: ultra sessantenni e teenager stanno fianco a fianco, genitori con al seguito i figli, amici secolari uniti dalla passione per il nero. Tanto nero. È bellissimo vedere i dark della prima generazione, quella degli anni Ottanta, cantare e ballare accanto a giovanissimi che ancora devono condurre le loro battaglie. Ma guardandosi intorno i volti si moltiplicano, la diversità regna sovrana e il pubblico è eterogeneo, senza età, va dalla signora elegante con il filo di perle al collo fino al ragazzino ultra truccato e borchiato. Questo è uno dei poteri dei Cure, sanno unire le persone, sanno parlare a una folla piena di individualità toccando le corde dell’anima di ciascuno, donando qualcosa di unico. Ci si guarda, ci si osserva, ci si sorride tra perfetti sconosciuti, consapevoli di condividere una passione travolgente e di far parte di un rituale.
Nessuna operazione nostalgia, Smith e soci stanno lavorando a un nuovo album e ne hanno dato un assaggio al pubblico garantendo quel trade mark dal sapore sognante che li ha consacrati nell’Olimpo delle star. La line up è varia e riserva tante graditissime sorprese come: ‘Faith’, ‘Strange days’, ‘At night’, pezzi del loro repertorio più oscuro e introverso che di rado vengono proposti nella dimensione live in favore di brani più orchestrali e immaginifici tratti da “Disintegration”. I Cure attingono a tutto il repertorio spaziando tra gli album che anno dopo anno li hanno resi indispensabili dispensatori di emozioni per milioni di fan in tutto il mondo: ‘Primary’, ‘Play for today’, ‘Lovesong’, ‘In between days’, ‘Push’ si affiancano a hit che hanno saputo superare i confini del dark per approdare nei cuori di un pubblico ancora più trasversale: ‘Lullaby’, ‘Close to me’, ‘Friday i’m in love’, ‘Burn’, ‘The walk’, ‘Just like heaven’, ‘A forest’.
L’ultima parte del concerto infatti è quella della catarsi, lo sfogo fisico alla tensione accumulata con brani introspettivi e ipnotici, che prorompe con i suoni più ritmati delle hit per permettere al pubblico di sfogarsi in un ballo liberatorio, senza pose, quasi un corpo a corpo data l’affluenza.
Il rito si rinnova sotto i riflettori di un Unipol Arena carica di energia e amore per circa tre ore di musica eccelsa e si chiude con un Robert Smith visibilmente commosso dal tifo da stadio che lo accompagna scandendo il suo nome. Il timido inglese che è entrato come ospite nelle nostre case si guarda attonito intorno, si asciuga due lacrime ripetendo “thank you” ormai a microfoni spenti e con la consueta grazia/goffaggine che ci ha fatto innamorare di lui si allontana dal palco, forse incredulo di quanta importanza ancora dopo 44 anni i Cure ricoprono nelle vite di tutti noi.