Si chiamava Angelo Farris, ma per tutti era semplicemente Rigoletto, nomignolo canzonatorio che ai primi del Novecento si usava spesso per indicare un handicap fisico e che in questo caso sottolineava una grave forma di rachitismo. Tuttavia la sua infermità non gli impediva di percorrere la città in lungo e in largo, urlando a squarciagola i titoli dei giornali che portava sottobraccio e dispensando sorrisi a chi incontrava per la via, con un visino traboccante d’affabilità che lo rendeva simpatico ai più. Una vita di strada la sua, come quella di tanti altri ragazzi di una Cagliari sospesa fra i due secoli, che si prestava a cambiare radicalmente; una vita che andò ad intrecciarsi con quelle di Mario Carrara, Paola Lombroso e probabilmente anche con quella di Antonio Gramsci.
Roma,16 maggio 1925. Alla Camera dei Deputati sta andando in scena un vivace e violento dibattito in merito alla legge che di fatto mette al bando la massoneria e ogni altra organizzazione segreta. Interviene anche Antonio Gramsci, che va avanti fra un botta e risposta con Mussolini, le frequenti interruzioni di Farinacci, e ancora applausi, urla, ilarità e schiamazzi. Ad un certo punto si ode una voce: “Taci Rigoletto”! Lo spregevole insulto arriva dal deputato fascista Lando Ferretti, che, redarguito pesantemente dallo stesso Mussolini, è costretto ad avvicinarsi al deputato sardo per porgergli le sue scuse. Gramsci se ne accorge ma lo stoppa prontamente : “Io non accetto nessuna scusa, non la voglio neppure ascoltare. Avevo da dire cose troppo interessanti per poter sentire le sue interruzioni !”.E lo manda via.
Chissà se quel giorno Gramsci si è ricordato del “Rigoletto” cagliaritano. Quel vivace ragazzo che si vedeva in giro durante i suoi anni passati al liceo Dettori, che forse incontrava vicino al mercato o lungo ll corso Vittorio e con il quale magari scambiava battute o sguardi di reciproca comprensione..
“Rigoletto” aveva cinque anni esatti in più del giovane Nino. Era nato a Castello, in via dei Genovesi, il 25 gennaio del 1886 ed era stato chiamato Angelo Giuseppe Maria Efisio Raimondo. Il padre, un facchino di nome Efisio, era morto tre mesi prima che nascesse e il piccolo crebbe con la giovanissima madre Rafaela Corda. Ben presto il suo habitat divenne la strada della Cagliari baccareddiana che lentamente si stava trasformando da chiusa piazzaforte militare in città mercantile aperta al mare e al resto del mondo, spostando il baricentro della politica e degli affari dal Castello ai quartieri di Marina e Stampace. La Cagliari – per dirla con Paolo Hardy, al secolo Ranieri Ugo – “che aveva neglette le torri pisane, aveva abbandonato gli anditi tenebrosi del castello per accarezzare con sentimento di eletta modernità, le glorie del mare e del mercato e la vita spensierata dei caffè”.

E in questa città en marche che Rigoletto e una folta schiera di “monelli e picìoccus de crobi” – i ragazzi con le inseparabili ceste con le quali, in cambio di qualche soldo, portavano la spesa a casa alle signore che facevano compere al mercato civico.- che scorrazzavano scalzi per le vie dei “cuccurus cottus” e “culus infustus” o andavano incontro ai treni che arrivavano in stazione. Forse quelle ceste per il minuto fisico di Rigoletto erano troppo pesanti o magari con i giornali si guadagnava meglio. Di certo il piccolo Angelo era dotato di una buona dose di sfacciataggine, di una voce squillante e di quel pizzico di eccitante teatralità che gli permetteva di gridare con zelo le notizie più piccanti e affrescare tragicamente quelle funeste, tutte caratteristiche indispensabili per fare lo strillone, attività che ben presto avrebbe intrapreso, facendosi conoscere in gran parte della città.
Nel tardo 1898, quando in città giungono il professor Mario Carrara e la moglie Paola Lombroso, Rigoletto ha quasi tredici anni. Carrara, dopo ripetute deliberazioni, aveva accettato la cattedra di Medicina legale vacante da diverso tempo nell’università cittadina, mentre la consorte, figlia del più famoso criminologo Cesare, si dedicava al giornalismo, raccontando i contrasti di Cagliari e della Sardegna dalle colonne delle testate giornalistiche e lavorava a uno studio sulle condizioni di vita delle classi disagiate. La coppia alloggiava nel quartiere della Marina e quotidianamente aveva modo di osservare la vita oziosa dei “monelli” che vi si davano convegno. Probabilmente fu proprio la Lombroso, aggirando la diffidenza e la ritrosia di questi ragazzi di strada e superando il facile gusto alla punzecchiatura dei cagliaritani – ad avvicinarli e a convincerli a farsi fotografare, visitare e “intervistare” dal professor Carrara e dal dottor Murgia, nei locali della clinica di Anatomia Patologica.

In questa indagine vennero sottoposti alle visite e alla macchina fotografica una cinquantina di bambini e ragazzi, quasi tutti maschi. Il dossier venne presentato da Murgia e Carrara al congresso internazionale di Amsterdam nel settembre del 1901 ed è conservato presso il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso di Torino. Tolti dal loro ambiente tutti i ragazzi si mostrano impacciati, spaesati, con gli occhi che – scrive l’antropologo Felice Tiragallo dell’Università di Cagliari – “esprimono assenza, puntati sullo scatto, a volte concentrazione per obbedire a una richiesta del fotografo, in definitiva gli sguardi di questi ragazzi non sono intenzionali, non esprimono alcuna volontà proiettiva e intenzione mimetica dall’altro, né un’ulteriore comprensione di quello che hanno davanti”. Tutti tranne uno.
Rigoletto – prosegue Tiragallo – nonostante sia fotografato anche completamente nudo – “rivolge al fotografo uno sguardo gentile e fiducioso, forse perché apprezza l’interesse dei fotografi a cui desidera restituire un’attenzione deliberata e precisa. Uno sguardo che colpisce l’osservatore moderno perché, testimonia, senza dubbio, che in questo caso una rete di sguardi, una polifonia di comunicazione sia avvenuta con piena consapevolezza, anche se forse solo per un momento”.


Senza entrare nel merito di questioni morali e scientifiche, questi scatti, lontani anni luce dalle animate cartoline dell’epoca, dove is picioccus de crobi e affini compaiono alla stregua di personaggi folkloristici, dopo oltre un secolo, ci permettono di dare un volto al piccolo Angelo Farris e a tanti altri bambini della Cagliari di allora. Bambini e ragazzi che nel loro randagio bighellonare, conducevano senza alcuna tutela familiare, una vita grama, irrequieta, promiscua, esposta alle violenze degli adulti e ai molteplici pericoli del vivere ramingo di annate, per certi aspetti, veramente difficili.
Il tremendo inverno del 1911 fu scandito da temperature glaciali, fame e malattie. Ne seppe qualcosa anche Antonio Gramsci che in quell’anno, per otto mesi. mangiò una volta al giorno, arrivando alla fine dell’anno scolastico in gravi condizioni di denutrizione. In primavera il peggio sembrava essere passato. In un giorno di aprile, l’ormai venticinquenne Rigoletto, come ogni mattina eseguiva la sua faticosa marcia urbana. Verso le nove si fermò, come d’abitudine, a fare colazione nell’osteria Pani di via Baylle. Successe tutto in un attimo. Uno spasimo, brevi convulsioni e il piccolo strillone all’improvviso, fra l’incredulità e lo sconcerto dei presenti, morì.
Un’ aura di dolore si sparse frettolosamente. La città quel giorno perdette la sua allegra mascotte, che, pur nell’indigenza, riusciva sempre a regalare a tutti una battuta o un sorriso, come aveva fatto anche davanti alla macchina fotografica del dottor Murgia e come probabilmente faceva ogni volta che vedeva quel ragazzo piccolo e gobbo. Quello che spesso incontrava infreddolito, coperto soltanto da una giacca lisa e una logora sciarpa, per le strade della Marina e che pochi mesi dopo, fresco di diploma, avrebbe lasciato Cagliari alla volta del “mondo grande e terribile” per diventare il più conosciuto e amato uomo di pensiero che la Sardegna abbia mai partorito.
Che storia interessante, mi ha riportato ai racconti che facevano i grandi nelle tavolate di festa a casa dei nonni. Grazie
Che tristezza