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SPECIALE CINEMA 2025. ‘Il Sogno dei Pastori’ di Tomaso Mannoni candidato per i Nastri d’argento 2005 nella categoria esordienti

Di Maurizio Pretta
07/06/2025
in Cinema, Comunicazione e società, Cultura
Tempo di lettura: 3 minuti
SPECIALE CINEMA 2025. ‘Il Sogno dei Pastori’ di Tomaso Mannoni candidato per i Nastri d’argento 2005 nella categoria esordienti

Il lungometraggio che vede l’esordio del regista cagliaritano, fino ad ora Mannoni ha prestato la sua arte ai docufilm, ha ricevuto la nomination per il ‘Nastro d’argento, il premio che il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI), dal 1946, riserva alla settima arte. ‘Il Sogno dei pastori’ è stato scelto, assieme ad altri sei film, per la candidatura nella sezione “Migliore Esordio”. Prodotto dalla Ombre Rosse film production (che ha prodotto anche “La guerra di Cesare”, Francesca Arcadu ne parla qui) e Blue Film e uscito nelle sale nell’ottobre 2024, dopo aver partecipato a diversi festival ed essere stato in concorso come Opera Prima ai David di Donatello 2025 il film di Tommaso Mannoni aspira all’onore di un altro dei più importanti premi cinematografici nazionali. La concorrenza è agguerrita ma i sogni di gloria sono obbligatori e cerchiamo di spiegarvi il perché.

Non è facile mischiare finzione e cronaca recente affrontando un tema ricorrente della storia cinematografica sarda, quello agropastorale, senza scivolare nei soliti cliché. Il rischio di scadere nel luogo comune è sempre altissimo se si parla di pastori e di Barbagia. L’abilità di Tommaso Mannoni è stata quella di abusarne nelle prime battute, condensando la macchietta del pastore ignorante delle cose del mondo e quella del napoletano truffaldino nei protagonisti principali; Ignazio, interpretato dal sempre bravo Alessandro Gazale e Andrea, impersonato da Fabio Fulco, diluendole pian piano con la voce dei coprotagonisti Antonietta (Astrid Meloni) e Giaime (Giuseppe Deiana) e portando lo spettatore al fulcro della narrazione.

Così s’incontrano due mondi diversi, apparentemente incomunicabili, e le loro dicotomie: il continentale furbo e pieno di pregiudizi che conosce soltanto Porto Cervo e Villasimius da una parte e il barbaricino riottoso, testardo, avvelenato col mondo circostante e pressoché totalmente ignaro della tecnologia. Il terreno dello scontro/incontro è quello delle rispettive miserie con le quali devono fare i conti prima che tutto crolli aggrappandosi a un sogno di redenzione che da personale può trasformarsi in collettiva, assieme agli affetti, agli amici e a una comunità che oltre ai problemi di un lavoro mortificante che non paga e appaga, deve fare i conti con le greggi decimate dalla febbre catarrale.

Il miraggio per la risoluzione dei problemi si palesa così con Andrea, “s’istranzu” che fa fatica a farsi accettare ed aggirare la ritrosia di quel mondo apparentemente così ermetico che si apre magicamente quando sente profumo di riscatto. In questo il personaggio ricorda il Miguel di Salvatore Mereu, lo strampalato venditore di scarpe che aveva illuso i pastori del Supramonte aumentando a dismisura la produzione del latte di greggi e mandrie.

Ma in quella “Barbagia dei pastori e dei banditi, covo di sequestratori e gente malvagia” Andrea scopre una realtà molto diversa, fatta di gente che ha studiato, che conosce e usa la tecnologia, che non si è ancora arresa allo spopolamento, alla mancanza di servizi e lavoro e ha scelto di restare fra quei monti, nonostante tutto. Fra il serio e il faceto, affidandosi anche a coprotagonisti rodati come Fiorenzo Mattu, Francesco Falchetto, Federico Saba e Carlo Antonio Angioni, attraverso un’analisi lucida, a tratti caustica, Tommaso Mannoni, da attento documentarista, traccia uno sguardo veritiero di un attuale paese barbaricino, che poi nel reale sia Seulo, Aritzo, Ovodda o Desulo fa veramente poca differenza.

In comuni sempre più piccoli, dove si fa fatica a trovare un’alternativa al bar e l’alcolismo non tende a diminuire, l’unica speranza, con le istituzioni perennemente sorde e incapaci di dare risposte concrete, è quella di credere in un sogno che come recitava Giovanni Pascoli, “non è altro che l’infinita ombra del vero”. Questa è la vera forza de ‘Il Sogno dei pastori’, quella di riuscire a raccontare, con intelligenza e ironia, una terra che fra miserie e contraddizioni, spesso simili a quelle di tanti altri luoghi, non ha smesso di credere nella sua redenzione e auspica alla sua legittima rivincita, anche attraverso il cinema. In bocca al lupo.

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