Romolo Garbati, chi era costui? Giornalista, libertario, idealista, fuggiasco, esule, osservatore attento e sagace, librettista. Eppure non basterebbero cento aggettivi per raccontare la travagliata storia di questo cagliaritano protagonista della lunga stagione della diaspora degli anarchici italiani. Pressoché dimenticato, la sua vicenda è stata sottratta all’oblio grazie alla ripubblicazione in Francia di ‘Mon aventure dans l’Afrique civilisée‘, curata da Paul André Claudel e con il quale ha collaborato la ricercatrice dell’Università di Cagliari Alessandra Marchi, dato per la prima volta alle stampe nel 1933 ad Alessandria d’Egitto. Un documento eccezionale dove emerge un mondo di sognatori e avventurieri e la movimentata vita consacrata alla libertà di un esule sardo.
“Cagliari si desta. Sembra che un soffio nuovo sia venuto a chiamare la nostra terra, sprofondata nel sonno, a nuova vita e a farla entrare in quel grande e civile movimento ch’è quello del proletariato moderno”. Con queste parole cominciava l’editoriale del primo numero del settimanale socialista cagliaritano ‘La Lega’ uscito il 22 settembre del 1901. La firma era quella del direttore Romolo Garbati, un nome che da qualche anno cominciava ad essere popolare nel capoluogo sardo, che all’epoca viveva un periodo di grandi stravolgimenti sociali, economici e politici, e che non sfuggì neppure alla prefettura e gli agenti di pubblica sicurezza. Da allora il nome di Romolo Garbati fini fra gli schedari del Casellario Politico Centrale, una dettagliata anagrafe dei sovversivi che veniva aggiornata periodicamente, partorita sotto l’ultimo governo Crispi nel 1894.
Romolo Garbati nasce a Cagliari il 18 giugno 1873 da Domenico, un negoziante abbastanza noto in città e da Maria Teresa Camba. Le notizie che lo riguardano ci vengono fornite da una nota della prefettura di Cagliari che così lo dipingeva: “Nel pubblico riscuote cattiva fama. È di carattere alcune volte violento, altre insinuante. Ha una cattiva educazione. Ha intelligenza svegliata, e discreta coltura. Non ha fatto un corso regolare di studi; non ha titoli accademici. È lavoratore fiacco. Trae i mezzi di sostentamento dal padre che è un agiato negoziante. Attualmente frequenta la compagnia dei socialisti dai quali prima si manteneva lontano per diversità di principi. Si comporta male nei suoi doveri verso la famiglia. Non ha mai occupato cariche amministrative o politiche. È iscritto al partito anarchico al quale ha precedentemente appartenuto, sebbene siasi unito ai socialisti”.
L’attenzione prefettizia verso questo anarchico cagliaritano dai capelli rossi e dalla barba curata, oltre alla sua militanza, è dovuta alla sua attività di giornalista in alcune testate cittadine come redattore di ‘La Volontà’ diretta dall’amico Jago Siotto, e come collaboratore con ‘Il Gazzettino Sardo’ diretto da Renato Manzini, dove si firma come Victor e con l’anconetano ‘L’Agitazione’ fondato da Errico Malatesta. Ma Romolo Garbati è un ribelle ambizioso e sogna di avere un giornale tutto suo. Ci prova senza molto successo prima con ‘La Battaglia’ nel 1898, del quale esce solo il primo numero e successivamente col numero unico di ‘Cagliari si diverte’ del 28 maggio 1900, una sorta di libello dove la politica si mischia con un’acuta vena satirica. Per una di queste pubblicazioni sarà processato reo di aver violato l’articolo 65 sulla pubblica sicurezza.
Prima che arrivi la sospirata direzione di un giornale con ‘La Lega’ nel 1901 il nome di Garbati balza alle cronache nazionali nell’aprile del 1899. A Cagliari è prevista la visita del Re Umberto e della Regina Margherita di Savoia, il prefetto Augusto Ciuffelli e il delegato Stefano Lanero stanno tenendo sott’occhio a scopo precauzionale alcuni esponenti dell’estrema cittadina. Romolo Garbati è fra questi e il 9 aprile viene tratto in arresto dagli agenti di pubblica sicurezza assieme ad alcuni suoi compagni: Alessandro Rusconi, un disoccupato romagnolo con un passato lavorativo alle saline; un altro disoccupato, tale Ernesto Puligheddu precedentemente scrivano presso lo studio del deputato Campus Serra e il giovane Ernesto Floris, commesso in un negozio di pellami. L’accusa è quella di voler inscenare una dimostrazione durante la venuta dei sovrani, aggravata dal ritrovamento in casa del Puligheddu di una rivoltella illegalmente detenuta. La notizia viene data delle autorità di polizia ai corrispondenti Bergamini e De Francesco del ‘Corriere della Sera’ che pubblica i nomi degli accusati in alcuni suoi articoli. Tuttavia l’accusa cade in istruttoria e gli imputati querelano il quotidiano e la sua società editrice per ingiurie e per diffamazione a mezzo stampa. Il processo si concluderà con la piena assoluzione dei corrispondenti, del gerente e della società editrice.
Due anni dopo Romolo Garbati oltre a dirigere “La Lega” è uno degli uomini più in vista del movimento operaio cagliaritano che in quel periodo sta vivendo una vivace attività sindacale caratterizzata dagli scioperi e dalle agitazioni dei ferrovieri, delle sigaraie e degli scalpellini carraresi che lavorano alla costruzione del nuovo palazzo municipale di via Roma. Si protesta per il caro vita, per il caro alloggi e per avere migliori condizioni lavorative. Le maestranze cittadine delle Leghe Riunite con falegnami, muratori, conciatori, pianellai e minatori, sono solidali con gli scalpellini che contestano le modalità di lavoro imposte dall’ingegner Giacomo Barbera, titolare dell’appalto, e indicono un’altra manifestazione. Prende parola anche Romolo Garbati che sottolinea l’importanza dello sciopero degli scalpellini anarchici carraresi e della solidarietà dei cagliaritani, sintomo di una maturata coscienza collettiva e di unione fra lavoratori. Ma intanto il giornale non sta attraversando un periodo tranquillo. Fra le tante accuse sollevate dalle sue colonne ce ne sono alcune dedicate alle condizioni antigeniche degli alloggi abitati dai ceti popolari e soprattutto a quelle disastrose dell’Ospedale Civile di Cagliari. Succede così che il direttore Garbati viene portato in tribunale dall’amministrazione dell’Ospedale e condannato dal giurì per diffamazione e ingiuria a mezzo stampa. Ricorre in Appello ma viene ulteriormente sanzionato il 29 luglio 1902 con maggiorazione di pena e una condanna a 18 mesi di reclusione e a duemila lire di multa. A Romolo Garbati per evitare il carcere non rimane che un’unica via, quella dell’espatrio clandestino.
Nell’estate del 1902 lascia Cagliari e comincia il suo lungo peregrinare per il Mediterraneo. Raggiunge Carloforte dove si imbarca alla volta di La Galite al largo della Tunisia, per poi approdare a Biserta e raggiungere Tunisi. Sospettato di attività sovversiva e accusato di frequentare altri italiani eccessivamente irrequieti viene espulso a pochi mesi dal suo arrivo. Ripara a Bône in Algeria, l’idea è quella di raggiungere Londra, ma accusato di essere venuto a seminare discordia in terra algerina deve tornare clandestinamente in Tunisia, da qui riesce a imbarcarsi fortunosamente in una nave diretta in Egitto dove sbarca ad Alessandria il 29 novembre del 1902. Dopo essere entrato in contato con l’anarchico fiorentino Pietro Vasai si stabilisce al Cairo dove presto lo raggiungeranno la compagna Raffaella Sabbatini e il figlio Giacinto Lucio Antonino, nato due anni prima in via Corte d’Appello a Cagliari.
Qui comincia l’avventura nordafricana di Romolo Garbati. Il primo periodo al Cairo dove rimarrà per circa sei anni è caratterizzato dall’incertezza e da condizioni di vita indigente. Tira a campare collaborando a diverse testate giornalistiche che tuttavia danno paghe poco remunerative. Scrive così per ‘Il Domani’, ‘L’Operaio’, ‘Il Grido della folla’, ‘L’Arte’ di Giovanni Ferrante, ‘Il Giornale’ di Francesco Santorelli e ‘L’Imparziale’ di Emilio Arus.
Risale a questo periodo anche la collaborazione con ‘Il Convito /al-Nâdi‘, una curiosa pubblicazione in italiano e arabo (alla quale ha dedicato i suoi studi Alessandra Marchi) che comprendeva anche pagine in turco e che intendeva lavorare per avvicinare Oriente e Occidente, dando uno sguardo nuovo a tutti gli aspetti dell’Islam.
Nel 1908 matura la decisone di trasferirsi ad Alessandria dove ben preso diventa caporedattore del ‘Messaggero Egiziano’ diretto da Enrico di Pompeo. Lo stesso anno nasce la figlia Ada, due anni dopo Emma. Intanto la carica a capo della redazione del ‘Messaggero’ permette a Garbati di integrarsi nel microcosmo di una città rigogliosa e cosmopolita dove la borghesia si mischia agli anarchici e agli esuli provenienti da tutta Europa. Faro d’attrazione di questa galassia libertaria è la Baracca Rossa di via Hamman el-Zahab, fondata da Enrico Pea che la definì “malfamata per la gente scomunicata e sovversiva che da tutte le parti del mondo ivi si dava convegno con i propositi ribelli alla società e a Dio”.
Da allora la vita di Romolo Garbati sarà scandita da centinaia di collaborazioni, da un’intensa attività pubblicistica e sociale che lo porterà ad avere rapporti con le più svariate personalità, da Giuseppe Ungaretti a Leda Rafanelli e Mario Appelius. Con Enrico Pea nel 1914 scriverà anche il libretto di ‘Makarà’, un’operetta musicata da Icilio Sadun che non andrà in scena prima del 1983, che attraverso un racconto ambientato nell’antico Egitto, dove emerge ancora una volta la sua vena satirica, viene aspramente criticata la controversa politica del tempo.
Il racconto di quel periodo, o almeno dei primi trent’anni della sua avventura egiziana, finì nel libro ‘Mon aventure dans l’Afrique civilisée’ pubblicato per la prima volta nel 1933 e riportato alla luce nel 2018 da Paul-André Claudel dell’Università di Nantes con la preziosa collaborazione di Alessandra Marchi dell’ateneo cagliaritano. Un documento che oggi è a tutti gli effetti un testamento prezioso grazie al quale, citando il curatore: “emerge dall’ombra tutto un mondo di margini, con i suoi sognatori e avventurieri, i suoi effimeri e i suoi naufragi editoriali: probabilmente la migliore ‘fotografia di gruppo’ che abbiamo della stampa eurofona dell’Egitto nella prima metà del XX secolo”. E, aggiungiamo noi, alla sensazionale vicenda di un cagliaritano libero e libertario, che ha saputo reinventarsi e ritagliarsi un posto di riguardo, ma vissuto sempre con estrema discrezione, nella storia del Novecento. Almeno fino alla sua presunta morte il 10 luglio del 1942 (esiste anche una datazione successiva, il 17 luglio 1945) a dieci giorni da quando i panzer dell’Afrika Corps di Erwin Rommel arrivarono a El Alamein, a soli 120 chilometri da Alessandria, dove, poco tempo dopo sarebbero cambiate le sorti del secondo conflitto mondiale. Ma questa è un’altra storia.
Ad Alessandra Marchi, per avermi fatto conoscere questa bellissima storia.