Sono passati quarant’anni da quel 6 dicembre 1980, quando i Litfiba ebbero il battesimo di fuoco sul minuscolo palco della Rockoteca Brighton di Settignano. Fra questa data e il gennaio 1985, anno dell’incisione per l’I.R.A del sospirato primo LP ‘Desaparecido’, c’è tanta, tantissima gavetta e migliaia di chilometri macinati sulle strade di mezza Europa.
Il quintetto (Piero Pelù alla voce, Ghigo Renzulli alla chitarra, Gianni Maroccolo al basso, Antonio Aiazzi alle tastiere e Francesco Calamai alla batteria, poi sostituito per un breve periodo da Renzo Franchi e infine da Ringo de Palma) nasce in un’umida cantina fiorentina adibita a sala prove, al civico 32 di via dei Bardi, un’antica strada stretta fra l’Arno e la collina. La Firenze dei primi anni 80 è una città in pieno fermento culturale, dove non solo la musica, influenzata dal Post-Punk e dalla New Wave, ma anche l’arte, il teatro e la moda, stanno vivendo un “secondo rinascimento”. Da questo contesto partono gruppi come Neon, Diaframma, Moda.
I Litfiba però sembrano avere una marcia in più, sopratutto nei concerti, dove lasciano il pubblico letteralmente sbalordito e ammaliato dalla teatralità di un Piero a metà strada fra Iggy Pop e Peter Murphy, che sostenuto dal sound combattivo della band, sprigiona tutti i diavoli di Ken Russel che ha in corpo.
‘Desaparecido’, è il disco che in poco più di mezz’ora raccoglie l’essenza dei primi anni del percorso musicale del gruppo.
L’apertura dell’album è al fulmicotone con ‘Eroi nel vento’, energico brano che strizza occhio e orecchio agli U2 di ‘Will Follow’ e ai Sister of Mercy di ‘Black Planet’ al quale segue ‘La preda’, nata dal conflitto generazionale fra Piero e il padre, riproposta sotto nuova veste rispetto alla versione del 1983.
‘Lulù e Marlene’ è ispirata da ‘Cabaret’ di Fosse e da ‘L’uovo del serpente’ di Bergman. Il titolo evoca Louise Brooks e Marlene Dietrich, protagoniste della Berlino insonne ed esuberante negli anni turbolenti della Repubblica di Weimar, con un chiaro omaggio a ‘L’Opera dei tre soldi’ di Bertolt Brecht e Kurt Weill.
‘Istanbul’ è uno degli episodi orientali della produzione della band di quel periodo. La voce femminile che apre il brano è quella di Lu Rashid, che recita in iracheno ‘l’Al- Fatiha’, la prima sura del Corano; scelta di raffinatezza etnica che ricorda quella degli Area di ‘Luglio, Agosto, Settembre (Nero)’. Le sonorità mediterranee e d’Oltre Manica si sposano alla perfezione nell’affresco nostalgico e immaginifico di una città, un tempo cosmopolita e tollerante, destinata a bruciare sotto le forze oscure del fanatismo religioso.
‘Tziganata’ è invece un trascinante e allucinato sabba dal sapore zingaresco, con richiami al Kusturica de ‘Il tempo dei Gitani’ e alla festa di Santa Sara la Nera.
‘Pioggia di Luce’ è un viaggio neo-psichedelico, introspettivo e doloroso, che si muove fra atmosfere jazzistiche e sofisticata New Wave. Il cantato, vicino al Jim Kerr prima maniera, fa da guida per concedere spazio a un’accelerazione finale, impreziosita dalla chitarra di Hanno Rinne.
La title track sposta decisamente l’orizzonte sonoro verso l’America Latina in una miscela tributaria del flamenco e del mariachi, con il testo che prende spunto da una poesia sull’annullamento dell’individuo scritta dalla nonna di Piero e affronta il dramma sudamericano delle vittime dei regimi totalitari.
L’ultimo atto è l’antimilitarista e ossessiva ‘Guerra‘, ispirata dall’eloquente copertina del primo disco dei Killing Joke, opera di Mike Coles e rielaborazione di una fotografia che Don McCullin aveva scattato durante le tragiche giornate di Derry nel 1971.
Queste otto canzoni fanno di ‘Desaparecido’ un disco variopinto, mistico e battagliero, che segnerà in maniera indelebile la musica italiana degli anni ’80 e tutto quello che verrà dopo.
Un album che forse non è riuscito – come auspicava Federico Guglielmi – ad essere l’imprescindibile punto d’avvio per una nuova strada della musica italiana nel mondo, ma ha comunque permesso ai Litfiba di affermare sin dal disco d’esordio la loro unicità; colma, come scrisse il ‘Mucchio Selvaggio’, di “passione, poesia e furore”.