Oggi mi si è parato davanti questo termine e non posso dirgli “sciò sciò, pussa via”, non è mio costume ignorare la figura che emerge dallo sfondo, in questo caso dallo scenario delle parole, quelle che iniziano per Q.
Eppure mi sono detta “uffa, cosa vuoi? Perché proprio tu?”
Quantità? E quantità sia.
Innanzi tutto siamo di fronte al concetto di misurabile; la quantità è il qualcosa che con le nostre unità di misura possiamo comprendere, rendendo noto alla comprensione quanto pesa e quanto è lunga o alta o bassa o grande o piccola la quantità in questione.
La quantità può crescere o diminuire, vero? Certo, ma ci pensiamo mai in termini di temperanza?
La temperanza, lasciate perdere la virtù cardinale che in un attimo ci sbalza in inaccettabili e schiaccianti moralismi condizionanti, la temperanza come “giusta mescolanza”.
Pensiamo quindi alla quantità come a qualcosa che troviamo attraverso il temperare, temprare, la tempra, la giusta dimensione qualitativa delle cose. Che poi, detto così, sembra rigido e normativo, ma vi invito a intendere l’espressione “giusta dimensione delle cose” come la sua misura intrinseca.
In questa rubrica ci occupiamo di ciò che succede dentro e si vede fuori, di quanto siamo belli ma non lo sappiamo.
Ecco perché parlo di intrinseco, ovvero di qualcosa che è dentro di noi ed è inerente alla nostra natura. La quantità è qui da intendersi come la reale qualità.
Possiamo per un attimo lasciare andare la quantità delle cose che vorremmo ottenere dalla vita? E possiamo per un attimo ancora vedere se la Vita non abbia già deposto dentro di noi ricchezze e possibili conseguimenti?
Se ci soffermiamo sulla quantità, avremo con tutta probabilità una sensazione di schiacciante sconfitta, in gran parte perché viviamo in una società che ci proietta la necessità di dimostrare di essere di più, quando magari abbiamo già raggiunto la nostra misura. E da qui il disagio disorientante: perché non basta? Perché dovrei cercare di ottenere di più o lasciare perdere ciò che ho raggiunto, diminuire o aumentare?
Cosa succede se indosso un paio di scarpe che sono di tre numeri più grandi del mio? Camminerei come una papera ubriaca e ci metterei il triplo del tempo per andare da un posto a un altro, inciampando per lo più.
E che ne sarebbe di me se vestissi panni più stretti di quelli che mi dovessero andare bene? Sembrerei un polpettone; avete presenti quelli contenuti nelle retine da cucina che fanno uscire tutti i quadratini di polpa dagli spazi tra una linea e l’altra della retina stessa? Ecco, una cosa del genere.
Come mai abbiamo difficoltà a intendere la quantità come la nostra giusta misura?
E trattandosi di misura interna, la troviamo nella qualità del nostro essere.
Sembra assurdo, ma se stiamo parlando di quantità, come è possibile che alla fine stiamo trattando la qualità?
La Vita si esprime come il Tao la descrive, non tralascia mai nulla, porta con sé una cosa e il suo opposto o rovescio, perché tende alla completezza. Ecco perché quantità si completa con qualità.
Nel capitolo, o stanza, 37 del Tao Te Ching si legge:
“Il Tao non fa nulla, ma non lascia niente incompiuto.
Se gli uomini potenti riuscissero a centrare se stessi in Esso,
il mondo intero sarebbe trasformato da sé,
nei suoi ritmi naturali.
Quando la vita è semplice,
le falsità svaniscono;
e la nostra natura splende.
Se non c’è desiderio, c’è calma,
e il mondo troverà la pace
spontaneamente.
Quando c’è silenzio,
si scopre dentro se stessi
l’àncora dell’universo”
La mia misura la trovo nella qualità dei miei pensieri e dei miei sentimenti. Il pensiero informa il sentimento e assieme guidano l’azione.
Riprendendo il Tao, se i miei pensieri e sentimenti sono semplici, ovvero limpidi, chiari, ripuliti dai falsi bisogni (ecco l’assenza di desiderio di cui ci parla il versetto del Tao), bisogni che ci si appressano ogni giorno, io sarò in grado di realizzare la mia vera natura, la qualità interna. Farò la giusta azione.
Gesù, il Cristo, uno dei nostri Avatar, Maestro asceso e disceso per insegnare l’amore, in uno dei suoi sermoni della montagna (Matteo 6, 22-23) dice: “La lampada del corpo è l’occhio. Se dunque il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è malvagio, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre…”
Malvagio, dal latino male-levàtus, male allevato, quindi storto e distorto. Così è l’occhio che non è capace di osservare la reale dimensione.
La semplicità nel discorso di Gesù suggerisce di attenersi a ciò che è essenziale, questo ci insegnano da secoli i grandi maestri, e forse è anche con i maestri che la Vita cerca di informarci sul modo in cui trovare la nostra giusta misura, per esprimere la qualità inerente e vivere orientati, piuttosto che brancolare nel buio delle false misure e delle false necessità.
(Foto Elena Mozhvilo)