Ci sono luoghi fuori dal tempo e dallo spazio, inaccessibili e nascosti dall’indifferenza e dall’abitudine. Sono le colonie penali, strutture che ancora oggi ospitano detenuti che scontano la loro pena fuori dagli istituti penitenziari: Isili, Mamone e Is Arenas sono in Sardegna ma potrebbero trovarsi in qualsiasi parte del mondo. Oggi le tre colonie, tra le ultime sopravvissute in Europa, accolgono persone condannate al lavoro, soprattutto straniere, che vivono private della libertà ma impegnate in lavori diversi, soprattutto agricoltura e pastorizia. “Nella colonia penale“, film documentario prodotto dalla società sarda Mommotty con Laura Biagini, Nicola Contini, Matteo Incollu e Federica Ortu, racconta le tre colonie penali isolane insieme a quella dell’Asinara, oggi trasformata in un parco naturale; nei giorni scorsi è stato presentato in anteprima al Bellaria Film Festival, in provincia di Rimini, e a breve approderà nelle sale cinematografiche sarde.
“Fin dal primo momento, quando abbiamo cominciato a lavorare sul progetto, abbiamo considerato le colonie penali non soltanto uno spazio di privazione della libertà, ma anche come la rappresentazione di uno stato di eccezione”, raccontano i registi che firmano i quattro episodi del film Gaetano Crivaro, Silvia Perra, Ferruccio Gioia e Alberto Diana. Uno stato d’eccezione segnato dai ritmi del lavoro con poco spazio per la creatività, la formazione, la socialità, pochi contatti con il mondo esterno, sbarre e lucchetti ovunque. Gli ospiti si occupano di pascolare capre e pecore, fare il formaggio e pulire le stalle, curano buoi e vacche e coltivano la terra; in mezzo ci sono le attività di ogni giorno: la cucina, le pulizie, le manutenzioni delle strutture, la gestione del magazzino e delle dotazioni personali. Gli agenti della polizia penitenziaria vivono anche loro secondo i ritmi lenti della colonia, si distinguono dagli altri per la divisa e il ruolo ma il quotidiano è il medesimo. Vigile, onnipresente, l’occhio delle videocamere di sorveglianza.
“La fase di scrittura del film è iniziata in piena pandemia“, sottolineano i registi. “La riduzione delle attività in pubblico legata al distanziamento fisico e la limitazione della libertà di movimento ci hanno fatto interrogare sulla natura di quei luoghi. Ricordiamo, all’inizio del primo lockdown, le rivolte carcerarie. Nelle colonie penali sarde, invece, sembrava tutto sospeso. La condizione dei detenuti come lavoratori all’aperto rendeva il loro stato di prigionia ancora più inusuale, quasi fosse un privilegio rispetto a chi trascorre 24 ore chiuso in cella. È da questa osservazione che è nata una rivelazione importante per noi: la parziale sovrapposizione tra il detenuto della colonia penale (oggi casa di lavoro all’aperto) e il lavoratore salariato, inserito all’interno di meccaniche di discipline, controllo, e violenza”.
Dopo i tre episodi dedicati a Isili, Mamone e Is Arenas il quarto mostra l’Asinara: , l’Isola del Nord Sardegna è stata utilizzata come colonia penale dal 1885 al 1997; un tempo carcere di massima sicurezza, (quasi) inespugnabile e irraggiungibile, dopo essere stata dismessa dal Ministero della Giustizia oggi è un Parco nazionale con Area Marina Protetta. E’ qui che, in mezzo alle vecchie strutture carcerarie, si svolgono attività di ricerca, tutela e controllo della fauna locale. Notano gli autori del film, “quando il rapporto tra carceriere e carcerato viene meno, tra le rovine delle prigioni abbandonate emerge una nuova dialettica di sopraffazione, che vede a confronto l’animale in libertà di fronte all’essere umano”.
“Nella colonia penale” mostra un mondo a due passi da noi eppure ignorato e sconosciuto, un non luogo che pure accoglie anime dimenticate e costrette a un regime solo in apparenza meno duro del carcere dove il tempo scorre lento, scandito dal lavoro e segnato dai giorni che mancano alla libertà.