Lucio Aru e Franco Erre, sono questi i nomi che compongono il duo creativo NARÈNTE, entrambi di origine sarda, come ci suggerisce il nome che letteralmente significa “dicente”. Le varie collaborazioni con marchi italiani (qui su Nemesis) e stranieri e la continua ricerca personale li conduce inarrestabili verso una nuova definizione futura e possibile di moda in Sardegna.
Il loro approccio è corale sia nella forma, dato che compongono a due voci per crearne una sola, che nel concetto, infatti utilizzano diversi mezzi di comunicazione per narrare la loro storia e ogni immagine da loro ideata, prodotta e post-prodotta traduce un linguaggio estetico subito riconoscibile, dove la Sardegna è un eco lontano che ti rimbalza addosso con tutta la sua forza evocativa. Difficile chiamarli solo fotografi, sono soprattutto art director, (parleremo con loro dell’esperienza in corso per il London Fashion Film Festival), casting director, ben espresso in Boys of Sardinia e ora con Undercommon spaziano nel mercato dell’abbigliamento. Per il momento, verrebe da dire.
Come definireste NARÈNTE, qualora abbia una definizione precisa e quale mezzo di comunicazione preferite per trasmettere la vostra visione?
NARÈNTE è stato concepito come un progetto editoriale omnicomprensivo, che fluttua tra lavori personali e per clienti terzi. Vive nell immagine fotografica o video e si nutre della ricerca di volti, di luoghi dai quali ci lasciamo ispirare e dallo styling che spesso diventa un design su misura per un risultato specifico che cerchiamo in quel momento. NARÈNTE è un mix di tutto questo, ogni mezzo di comunicazione utilizzato concorre al fine di creare il nostro immaginario.
A proposito di video, siete stati selezionati per il London Fashion Film Festival
Si, il corto selezionato si chiama ‘Otherwhere’, ed è un progetto video al quale ci sentiamo molto legati, ha avuto una lunghissima gestazione in momenti diversi. E’ uscito nel gennaio 2023 con il supporto di Sardegna Film Commission e Fondazione Banco di Sardegna in collaborazione con Bluem e Bawrut che hanno prodotto la traccia audio ‘Adele‘. ‘Otherwhere’ è un seguito diviso in tre atti di un manifesto d’intenti: ‘Love More’. Sentivamo l’esigenza di continuare a raccontare la nostra idea dell’ isola con lo sguardo rivolto alle nuove generazioni di giovani che popolano questo territorio, a nostro parere ancora troppo poco rappresentate. In ‘Otherwhere’ in particolare, poniamo un accento di riflessione sul bisogno di migrare per cercare un altrove, spesso seguito da un forte bisogno di tornare per ritrovarsi. Ovviamente tutto questo rappresentato con il linguaggio moda.
‘Boys of Sardinia’ sembra quasi una ricerca in divenire, come se per voi fosse forte il desiderio di far scoprire una Sardegna che le persone normalmente non immaginano possa esistere: guardando il vostro lavoro si ha la sensazione di poter essere ovunque. Il vostro è un linguaggio davvero contemporaneo, cosa vi ha portato a raccontare l’isola in questo modo?
Dopo dieci anni a Milano e quasi sette a Berlino abbiamo deciso di fare di Cagliari la nostra base, certo ci spostiamo spesso. Quando abbiamo deciso di ritornare nell’isola sentivamo che le nostre esperienze lavorative, anche individuali, ci avevano fatto maturare abbastanza per far confluire le energie assimilate in un progetto comune che raccontasse il territorio in maniera differente, senza i soliti stereotipi. Ci sembrava che non esistesse una vera rappresentazione dello scenario moda che c’è oggi in Sardegna, sentivamo l’esigenza di nutrire concretamente il settore non di depredarlo, come spesso succede a coloro che pensano di coglierne la verità soltanto attraverso la sua oggettiva bellezza e venendo a fare produzioni lampo per poi tornare nei luoghi dove gli schemi della moda sono molto solidi e sedimentati. Uno dei primi impulsi è stato proprio quello di ricercare volti sardi che avessero un respiro contemporaneo e internazionale. ‘Boys of Sardinia’ è stato uno dei primissimi progetti sotto la prospettiva di questa ricerca che parlasse dei giovani isolani, della loro individualità, dei loro sogni, aspirazioni, etc”. E la sensazione di essere ovunque per noi è importantissima, proprio perché non ci interessa creare immagini comprensibili solo a chi per appartenenza territoriale subisce la suggestione di questo luogo, ma vorremo mostrare che anche qua si può fare e si può fare bene.
Undercommon è il vostro ultimo nato in casa NARÈNTE, come lo descrivereste?
E’ un progetto freschissimo. È capitato spesso che ci mettessimo a creare gli styling confezionando capi da zero o lavorando di upcycling, talvolta con l’aiuto di persone con cui collaboriamo piuttosto che ricercare capi di marchi già esistenti.Così, alla fine abbiamo deciso di dare un nome a quest’altra forma di espressione: ‘Undercommon’ si può definire a tutti gli effetti il brand nato dal mondo NARÈNTE. Si rivolge a chiunque riesca a sintonizzarsi col tipo di messaggio che il design e l’immagine finale comunicano, sicuramente con un’attenzione particolare alle nuove generazioni bisognose di sentirsi comprese, di avere punti di riferimento e immedesimazione, e perche no, d’ispirazione per trasmettere loro che si può scegliere di non vestirsi omologati.
E infine, avete qualche idea ora in mente che aspetta di vedere la luce?
Al momento siamo molto concentrati su Undercommon dato che è appena nato, ma restiamo in movimento continuo, anche e sopratutto perché abbiamo recentemente firmato con un’agenzia di rappresentanza francese, la Artsphere e questo ci porterà ancora una volta a declinare ciò che siamo in diverse forme e situazioni.