Per un bluesman che suona batteria e chitarra il concetto di cassa di risonanza è pane quotidiano e forse Matteo Leone, cantautore e musicista tabarchino doc, vincitore del Premio Parodi nel 2021 non a caso ha scelto di affidare a un social la sua riflessione sulle difficoltà dei musicisti sardi. Con un post del 17 maggio che nel giro di pochi giorni ha raccolto tanti commenti e numerose condivisioni da parte di artisti, molti dei quali colleghi musicisti come Francesco Medda “Arrogalla”, Gianmarco Diana dei Sikitikis o Nanni Gaias – solo per citarne alcuni – che hanno raccontato sulla sua bacheca di Facebook la loro esperienza, confrontandosi in un dibattito interessante per chi volesse conoscere meglio il mondo musicale isolano.
“È molto difficile suonare al di fuori di questa terra. Tanto meno senza booking né management. Sarà ora che la Regione Sardegna crei il suo ‘Sardegna sound‘ come tutte le altre regioni d’Italia, patrocinando artisti della propria regione in tutto il mondo. I musicisti sardi non hanno nulla da invidiare a nessuno, con tutto rispetto per i colleghi continentali”. Questo il post.
“Non mi aspettavo così tanti commenti”, afferma l’artista tabarchino a distanza di qualche giorno da quello che definisce a metà tra uno sfogo e una chiamata all’azione, lanciata come un assolo in rete. L’intento di Leone era quello di stimolare una riflessione sulle difficoltà oggettive che gli artisti sardi affrontano ogni giorno e ci è venuta voglia di fare una chiacchierata con lui per saperne di più.
Tu hai scritto che è difficile suonare al di fuori della Sardegna, perché?
Per un artista sardo non è competitivo proporsi sul mercato nazionale, a meno che tu non sia già affermato come Daniela Pes, iosonouncane o Salmo, solo per fare alcuni nomi. Non sei competitivo a causa delle spese di viaggio. A parità di livello artistico gli organizzatori di eventi scelgono uno che arriva dalla penisola, con un cachet più basso perché non deve sopportare costi di trasferimento. Ma non è solo questo. La Sardegna non ha un sistema di sostegno per gli artisti che fanno musica, che sia tradizionale o meno. Esistono regioni, come la Puglia, che invece investono fondi per promuovere progetti di aggregazione tra artisti che portano la cultura pugliese nel mondo, attraverso forme di patrocinio e abbattimento dei costi. Il ‘Puglia sound’ è un sistema che favorisce la crescita artistica a tutto tondo. Sarebbe ora che anche la nostra isola creasse il suo ‘Sardegna sound’.
Dal punto di vista della promozione e del booking invece come stanno le cose?
In Sardegna, in generale, mancano figure che promuovano gli artisti sardi al di fuori del circuito isolano. Il rischio è quello di restare relegati all’ambito locale, suonando in tutte le sagre e le rassegne, attraverso i rapporti con i vari comitati, senza però affacciarsi al mercato nazionale e internazionale.
Ma allora, mi verrebbe da dire, perché resti in Sardegna? Non sarebbe più semplice andare via?
Quello che mi fa arrabbiare è proprio questo. Perché devo per forza andare via non lo capisco, non lo accetto. Alla fine se tutti vanno via da qui non ci sarà nemmeno ricambio generazionale, in nessun ambito compreso quello artistico e musicale. Quello che posso fare io, da artista, è muovermi e cercare di cambiare le cose restando qui.
Il rapporto col mare, che caratterizza la tua produzione artistica, è un rapporto di amore e odio? Il mare per te è un limite?
No, per niente. In questo mi sento fortemente tabarchino, per noi il mare non è isolamento ma terra di conquista. Il mare per noi è opportunità, cosa che ci differenzia dai sardi, generalizzando un po’. L’isola non è qualcosa che mi racchiude e mi opprime, ma un’occasione di viaggio e conoscenza. Però dobbiamo avere la possibilità di muoverci e tornare.
Ci sono stati sviluppi dopo il tuo post?
Sono stato contattato da diverse persone che negli anni hanno provato a costruire momenti di confronto tra artisti e istituzioni, per parlare di questi temi. Da parte della Regione sembra esserci più attenzione, stanno arrivando segnali positivi per la riapertura di un canale di confronto. In generale però non è semplicissimo unirsi, prevale a volte la disillusione del “non serve a niente”, che blocca ogni slancio. Io invece vorrei andare controcorrente.
Quello dei costi di viaggio è un problema che riguarda anche altre realtà, tra l’altro.
Di recente sono stato selezionato da una accademia di doppiaggio di Roma, per l’iscrizione ho investito parecchi soldi e poi mi sono ritrovato a spendere settecento euro di aereo per seguire le lezioni quattro volte al mese. Alla fine ho dovuto abbandonare mettendo l’accademia in stand by, se e quando potrò riprendere a frequentarla. Il tema, quindi, riguarda tutti gli ambiti artistici: musica, cinema, doppiaggio e tutto ciò che sta intorno. Tutti siamo penalizzati dalla difficoltà di spostamento e dalla mancanza di scambio con il mondo artistico della penisola.
Cosa pensi del rapporto tra le istituzioni e gli artisti?
Tra coloro che hanno commentato il mio post c’è chi sostiene sia necessaria una rappresentanza del comparto artistico musicale sardo che possa sedere al tavolo delle istituzioni e chi invece preferisce non piegarsi ai criteri istituzionali, restando libero di sperimentare contaminandosi con altri generi, liberandosi dal concetto di folklore che a volte è l’unico a cui strizza l’occhio politica. Una Regione a statuto speciale come la nostra, invece, dovrebbe fare tanto per gli artisti e non solo puntando sul folklore. Già avere un sistema di continuità territoriale decente sarebbe una buona base. Anche avere un fondo per i musicisti e artisti per gli spostamenti non sarebbe male, come fanno in Norvegia o in Francia, con un sussidio che ti consente di fare la tua musica e selezionare le tue serate, continuando a studiare e fare un lavoro di ricerca creativa. Se devi lavorare lasci da parte lo studio e la crescita musicale, perchè spesso non hai le forze per farlo. La consapevolezza delle tue qualità e capacità artistiche non sempre va di pari passo con il giusto riconoscimento del valore economico di ciò che fai. Se hai desiderio di vivere della tua musica, della tua arte, è davvero difficile. A quel punto ti ritrovi a chiederti: “Ma perchè, chi me lo fa fare? Vado a fare un lavoro vero”. Non puoi permetterti una famiglia, fare progetti, continuare a studiare e approfondire la tua formazione musicale. E il desiderio del posto fisso si fa spazio tra i sogni e la passione”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
C’è l’idea di fare un altro disco in italiano o in tabarchino, che è stato una scelta ponderata. Sono l’ultimo artista che fa musiche originali in tabarchino, questo mi fa onore ma allo stesso tempo è anche limitante. Io voglio continuare a fare un lavoro di ricerca. Sono un ricercatore, ho fatto jazz di avanguardia e la ricerca sonora è un mio chiodo fisso. Perché la musica è come il mare, vasta e da esplorare con spirito di conquista.