C’è chi viaggia per perdersi e c’è chi viaggia per trovarsi, afferma Gesualdo Bufalino, uno dei più grandi scrittori italiani. E probabilmente Matteo Leone, talentuoso e poliedrico cantautore sardo di Cussorgia, rispecchia appieno queste parole. Musicista virtuoso, paroliere, 36 anni e un cursus honorum di spicco culminato con la vittoria del premio Andrea Parodi nel 2021. Ma Matteo Leone è molto più di tutto questo, oltrepassa le definizioni spicce come dimostra il suo nuovo disco ‘’Raixe’’, scritto in tabarchino e che tradotto significa ‘’radici’’, pubblicato da S’ardmusic e distribuito da Egea Music il 23 giugno scorso, disco intenso e pregnante che coniuga la musica e il mare entrambi contenitori di tutti i sogni dell’anima come scriveva Carl Gustav Jung, tra i più autorevoli esponenti della psicologia analitica.
Dodici tracce al suo interno dove si respira appieno il profumo della cultura del Mediterraneo, in tutte le sue sfumature, arricchito dalle collaborazioni di Francesco Medda ‘Arrogalla’, Forelock e Pierpaolo Vacca. Un disco dove ogni brano offre una visione sul mondo diversa, un insieme di spunti di riflessione che sommati formano una commistione vivace e che merita di essere approfondita.
A cinque anni di distanza dal suo esordio solista ‘’Scattered house places’’, il trentaseienne dà vita a un progetto solido, maturo, dinamico e fluido dove nulla è lasciato al caso: menzioni particolari per le tracce ‘’In mézu ô mò’’ con un giro di chitarra ipnotico, ‘’Angelin’’ dedica struggente al nonno Angelino, ‘’Tra Tera e Mò’’ pezzo impreziosito dalla fisarmonica di un fuoriclasse del calibro di Pierpaolo Vacca, ‘’Dragut’’ dall’andamento sincopato che evoca atmosfere sognanti, ‘’Calasettana’’ – unica cover del disco – interpretata con particolare intensità e, per concludere, ‘’Tramuntu’’ che chiude il disco con raffinatezza.
Il tema delle radici è uno dei punti cardine dell’album. “Per me sono fondamentali – racconta Matteo Leone – sia dal punto di vista artistico che umano e sono arrivato a questa conclusione dopo un processo di crescita graduale. Fondamentale è stato un viaggio che ho fatto nel 2018 negli Stati Uniti in cui ho avuto l’opportunità di suonare. È stata un’esperienza importantissima e che una volta terminata mi ha lasciato un grande vuoto dentro. A quel punto ho cominciato a guardarmi dentro e a scavare a fondo”.
E proprio scavando a fondo si coglie il valore delle radici. “Io sono nato a Cussorgia, una frazione di Calasetta – aggiunge – e da sempre ho avuto con Calasetta un rapporto di amore e al contempo conflittuale come è normale che sia. Indubbiamente, i paesaggi di Calasetta hanno sempre suscitato in me emozioni molto forti”. Emozioni forti, come quelle che trasmette il mare, elemento che permea ogni parola scritta e cantata da Matteo con profondità che carica di suggestioni oniriche ogni frase, dove è possibile cogliere le influenze della narrativa di Gabriel García Márquez. “Il rapporto con il mare per me e per noi tabarchini è qualcosa di difficilmente definibile, tanto è simbiotico. Tutto ciò che facciamo gira intorno al mare, siamo costantemente influenzati da esso. Il mare è fonte di vita, lo senti sulla tua pelle in ogni momento”.
Spontaneità e sperimentazione sono il marchio di fabbrica del disco come emerge dalla scelta del tabarchino per la sua realizzazione. “La scelta del tabarchino è stata molto naturale e istintiva. Mio nonno – spiega – parlava tabarchino, sino alle scuole medie studiavamo settimanalmente il tabarchino, quindi tutto ciò è stato importantissimo per me e mi ha influenzato. L’uso del tabarchino è la scelta più giusta anche da un punto di vista sonoro, proprio per la sua fluidità e poi perché condensa appieno l’essenza del Mediterraneo”.
Dalla sua casa di Carbonia, dove attualmente vive, Matteo riflette su un disco importante, artisticamente e umanamente, che ha al suo interno tanto di quotidiano e di vissuto. Un viaggio messo in musica da seguire passo dopo passo. “Nella vita – prosegue – ho avuto la fortuna di viaggiare tanto: sono stato in Giappone, in Mauritania, negli Stati Uniti e in tanti altri luoghi. Viaggiare è stato fondamentale per me, sono sempre stata una persona curiosa e viaggiare permette di soddisfare la propria curiosità. Un viaggio va vissuto pienamente, lasciandosi sorprendere e mettendosi nei panni di chi è del posto”.
Se si parla di viaggi, un occhio rivolto al passato è inevitabile e, in particolare, all’esperienza con i Don Leone, duo formato da Matteo insieme a Donato Cherchi. “Per me è stata una esperienza fondamentale e necessaria. Venivo da un periodo di stasi, è capitato nel momento giusto e mi ha dato tanto. Quella dei Don Leone è stata una fase stimolante, genuina e preziosa nel mio cammino, una parte della mia vita inattesa e di grande intensità”. Un ultimo tiro di sigaretta e un ultimo appunto su cui riflettere mettono fine alla chiacchierata, in un giovedì pomeriggio uggioso di febbraio. “Sto scrivendo qualcosa di nuovo ma ancora non so che lingua utilizzerò: potrei proseguire con il tabarchino ma utilizzare anche il sardo e l’italiano, in modo da variare e rivolgere il mio sguardo verso nuovi orizzonti. Sicuramente è tutto in divenire, vedremo con il tempo: conosco la direzione, devo solo trovare la rotta giusta da seguire”.