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DIVAGARE. Lettere di domenica

Di Antonio Pintus
31/05/2025
in Divagare, Fotografia, Rubriche
Tempo di lettura: 9 minuti
DIVAGARE. Lettere di domenica

Premessa: questo è il terzo pezzo scritto a quattro mani su questa rubrica, per questa rubrica. Accompagnato dalle mie fotografie, ritorna quindi in piacevole collaborazione con Cristina Tedde. Dopo le maschere, è tempo e spazio per uno scambio epistolare totalmente immaginato. I protagonisti sono due persone dai contorni sfumati, Gianni e Cassandra. Lettere di domenica, scritte di domenica, sulla domenica. In queste lettere che si spediscono queste due persone, da città reali e luoghi inventati, viaggi e situazioni, si intravedono le emozioni che ruotano attorno a quel particolare giorno della settimana, che solitamente gioca il ruolo di una parentesi. Questo è un dialogo sulla distanza umana e sul tempo appeso, sul piacere di scriversi lettere di carta, abitudine che dovremmo riprendere un po’ tutti. Sorprendendoci.
E questo è anche il mio invito, o suggerimento.


Filikudi, maggio 1982
La domenica, carne rossa lacerata e contesa, tra residui di rituali cattolici e malinconie di fondo, in attesa tesa del lunedì a sorpresa. Odore di brodo di pollo,  stanze sature invitanti pesanti. Esco in spiaggia, pochissime le persone, smerigliate dalla sabbia sollevata per scherno da questo vento di scirocco. Non basta. Non basto più a me stesso, in verità. Forse partirò di nuovo. Ti farò sapere.
A presto, 
Gianni 

Alicudi, giugno 1982
Dove non vi sono strade, se non quelle dettate dalla natura, l’uomo qui è un corpo estraneo. Apprendo che qui non arrivano i giornali, la notte cala inesorabile senza i lampioni ad illuminare il buio. “Che si fa qui la domenica?”- chiedono gli stranieri approdati all’isola. Gli abitanti sorridono di tanta ovvietà. Qui i giorni li decide il vento e quando si parte, il mare. La domenica si aspetta, e così all’infinito.
Ciao,
Cassandra 

Isola del Granchio, luglio 1982
Come ogni domenica scrivo una lettera, questa. Per fingermi libero. Cerco di tenere il più possibile lontano dai miei sussulti d’anima quell’esercizio di addomesticamento umano che è, troppo spesso, il lunedì. È una finzione, una bugia ma questo gioco di prestigio è necessario al mio stomaco. Come ogni domenica mi faccio domande. Una di queste è ricorrente: la ho vissuta a dovere? La risposta è ancora un no. Sto ancora perdendo.
Attendo tue,
Gianni

Palermo, luglio 1982
Come città, Palermo è un tripudio di colori e profumi esotici. Vittima di pregiudizi e di tante canzoni, la Sicilia si apre a me con una bellezza disarmante. Arrivo qui, in una domenica di fine luglio, la mia anima atterra sul mare ed ho gli occhi colmi di bellezza. Nella bocca, il sapore di ricette delle nonne e negli occhi il giallo limone e l’arancio dei tramonti. Alloggio davanti al Teatro e dalla mia finestra, tutto pare una cartolina, a sancire chi mi manca e a chi penso mentre sono lontana. È domenica qui, più che mai. 
A presto,
Cassandra

Città di Monte Savastio, agosto 1982
Ora che sono lontano dal mio paesello d’origine, ricordo quasi con selvaggia malinconia quanto inutili erano certe domeniche tutte uguali, alquanto simili a quelle di Pasqua. Domeniche descritte da sfilate con il vestito buono, quelle a lasciar bussare la primavera. Ora che sono lontano da tutto questo, brucia però dentro di me quella feroce orticaria che questa usanza mi causava. Ad essa mai mi ero abituato, lasciandomi il più delle volte così, senza leggerezza, senza senso del futuro che, inesorabilmente sarebbe comunque arrivato. La domenica è un inganno, come la giornata di oggi.
Riparati dal caldo, ciao,
Gianni

Mare di Raganella, a bordo della nave Demetra, agosto 1982
Non avendo ancora potuto leggere una tua risposta – infatti mi trovo così, ancora nel mezzo di questi sei giorni di nave lenta per la traversata –  provo a scriverti questa mia breve lettera, che spedirò non appena giunto nuovamente in terraferma. Promesso. In mare aperto, trovo che la domenica quasi non esista, questo volevo scriverti. È un tempo sospeso tra un quando e nessun dove. Ho pensato tanto, sai, a questa sensazione tridimensionale.  Contrasta parecchio con quello scorrere veloce dei giorni della settimana,  in apnea, che siam soliti sgranare come un rosario verso la domenica, quale agognata meta e chissà con quale preghiera di ringraziamento. Qui sulla nave, il tempo non è né sprecato né impiegato. Non puoi farci nulla, questo lo sai. Ti rassegni. Oggi, che è domenica appunto, essa è arrivata così uguale agli altri giorni da apparirmi oltremodo simpatica, o quasi. Stamane, a colazione,  mi han servito un croissant speciale, ripieno di una crema di pistacchio di un verde appassito, sospetto e un caffè che sapeva di terra. “Oggi è domenica”, mi han detto. Ah già… oggi è domenica, ho pensato, svuotandola subito da ogni formale ingombranza. Tra due giorni arriverò a destinazione, avrò perciò qualche giorno di respiro, prima di un’altra domenica. Stavolta vera, magari vendicativa.
A presto,
Gianni

Firenze, agosto 1982
Da un vecchio caffè in centro, scrivo in un taccuino i pro ed i contro di questa ennesima domenica. Dove non riposo mai, animata da pensieri contrastanti e voglia di non far nulla. Mi sono trascinata fuori casa oggi, piove – strano, è estate, no? – e nella mia testa risuona una musica jazz che mi calma e mi lascia tranquilla almeno un po’. Mi manca mia madre, ora che sono via questo giorno mi costringe a far i conti con la lontananza. Pensa, a casa la domenica quasi vola. Qui dove non ho la mia famiglia, pare non finire mai.
Ti mando un saluto,
Cassandra 

Roccapersa, agosto 1982
Da pochi giorni mi trovo quindi di nuovo a casa. Ma cosa è casa, se non il luogo dove hai nascosto tutti i tuoi ricordi? Dopo un lungo viaggio, come nel mio caso, casa è polvere e riassetto, mobili e luce famigliare. Non mi attacco mai sentimentalmente alle cose, né ne bramo il possesso, se non nella leggerezza dell’essenziale. Casa è dove non ti ricordi chi sei, perché non ne hai bisogno. Vedi, in questa domenica è tutto un risuonare di campane, è festa. A stento riesco a tenere aperte le finestre, vuoi per il frastuono, vuoi per il vociare. Mi faccio un caffè, anche se non lo sento più buono come un tempo. Nel primo pomeriggio penso che farò una passeggiata, il giornalaio sarà già chiuso. Peccato. Sentivo il bisogno del profumo di carta stampata, di leggere quattro parole messe bene in fila; che so… la recensione di un romanzo appena uscito, ad esempio, o di un nuovo spettacolo teatrale in odore di Miti greci. No, leggere di sport non mi interessa. In questa piccola cittadina la domenica pomeriggio chiude tutto. D’estate poi, è pure giustificato. Tranne due bar, questi non chiudono mai, eroici sfidano le temperature e tutti i venti, e un poco vengono ricompensati, una birra fresca o un limonata fanno desiderio a qualcuno e i tavolini si popolano, un poco ma mai troppo. A vedere quegli ombrelloni e sedie semivuote sembra di vedere un pettine con tanti denti spezzati. La domenica d’estate, che forzatura. Tutti si sfidano sempre a dover per forza fare qualcosa, se ne convincono con testardaggine: andare al mare in spiagge affollate, intasare una strada, bruciare un arrosto in compagnia. Per nascondere il lunedì, giorno di fatica, giorno di passaggio. La domenica è un varco, senza insegne.
Gianni

Isola non precisata del Mediterraneo, ottobre 1982
Non ho più parole e non mi ritrovo nelle prose che scrivo. Vorrei dedicarti versi, ma sono partiti anche quelli ormai. Mi restano solo una manciata di domeniche, che elemosinano amore ma il loro cappello, ahimè, resta vuoto. 
Cassandra

Roccapersa,  primi di giugno 1983
Non ho tue notizie da tanti mesi ormai. Lo ammetto, anche io son stato assente. Sono stato complice di questa distanza. La latitanza dell’affetto, o degli entusiasmi,  talvolta conduce alla resa, al trascurare, al dare per scontato ciò che va mantenuto vivo, a cominciare da un’amicizia. Manco a dirlo, sempre di domenica ti scrivo. Qui fa già caldo, di giorno. La sera, soprattutto quando si alza un delicato maestrale, non cede ancora all’estate imminente e regala attimi di fresco. In quelle due ore serali, nelle quali mi concedo, ogni tanto, un vino fresco bianco e un tavolino all’aperto, scrivo. Scrivo frammenti di storie inventate, di romanticismi finiti in muffa o di leali amori ardenti poi finiti per i troppi silenzi. Scrivo di isole battute dal vento e dai profumi di elicriso, mi immagino poi io dotato di un alter ego protagonista di viaggi in Paesi lontani mai visitati, o di rivoluzioni socialiste piene di speranza. Oppure scrivo lettere, senza sapere se avranno mai risposta, forse come questa. Chissà. Ma, tu lo sai, io non scrivo lettere per aver riscontro, risposta. Io scrivo per intima necessità o, peccando enormemente di egocentrismo, forse anche per guardarmi dentro, come se volessi cercare in queste parole tutte incatenate un’immagine di ciò che ero da giovane, anche se sfocata. L’arma della maturità andrebbe tenuta sotto chiave, come qualsiasi altra arma, perché finisce che, prima o poi, la si usa. La maturità ti rende tutto più chiaro, soprattutto ciò che hai sprecato o sminuito. Eppure non chiarifica mai del tutto ciò che ti circonda. Sarebbe troppo facile, senza il sale del mistero. Ma mi sto dilungando, come sempre. Questa domenica non è stata poi così male, forse mi è pervenuta una leggera folata di leggerezza, e non dico di speranza. Sarebbe inappropriato e già un po’ troppo. Ora vado, più che sperare in una tua risposta, spero che tu possa almeno leggere questa mia, trovandoti bene, magari di domenica.
Un caro saluto,
Gianni 

Ajaccio, dicembre 1983
Strano luogo le domeniche qui, in questa terra così vicina alla mia, ma estremamente lontana. Su montagne innevate ed in sottofondo, vecchi programmi televisivi con improbabili quiz a premi, dettati in una lingua che non conosco. La noia è spesso protagonista in questo nefasto giorno, in cui tutto mi viene a cercare e spesso mi trova. Dove tutto ha dimensioni enormi, come la paura che questo giorno mi fa. 
Ciao,
Cassandra

P.S. Perdonami per non averti più scritto…

Civitavecchia, dicembre 1983
Cara Cassandra,
la vita riserva l’inaspettato, qualche volta. Mi trovo quindi costretto a partire, con la tua lettera in tasca, che ho letto poco prima di scriverti questa mia, di fretta. Sono al porto, si salpa tra due ore. Mi aspettano mari, oceani e continenti. Poi ti spiegherò per bene con calma, non ora. Manco a dirlo è domenica, che scherzo del destino. 
Stammi bene,
Gianni

Località non meglio precisata, maggio 1984
Gintile Signora Cassandra,
Io prova scrivere o que senhor Gianni falou pra mim. Ele disse assim: “scrivi pra signora, no indirizzo dela”. Signor Gianni non sta mais aqui con noi… ele morre. Sepultado domenica dentro terra rossa. Coisa muito strana succede aqui, e ele sabia o perigo. Estava malato. Ele fala que prima coisa que tinha fazer era scrive per la signora, uma lettera piccola só pra avisar. Signor Gianni ci teneva molto, sempre ripeteva isso.

Muito dispiacere, signora,

G.

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