Una moderna Antigone vive tra la miseria e il degrado dei rioni popolari della capitale, immersa tra i ricordi e i fantasmi di una dolorosa storia familiare, per una rilettura del mito in chiave contemporanea: Ascanio Celestini, protagonista mercoledì 7 agosto alle 21.30 alla Cantina Antichi Poderi di Jerzu , dà voce all’eroina di una tragedia del Novecento nella penultima serata del venticinquesimo Festival dei Tacchi firmato Cada Die Teatro.
S’ispira alla figura tormentata della figlia di Edipo, “Le nozze di Antigone” (produzione Fabbrica Srl) , un monologo scritto per Veronica Cruciani e riproposto in forma di mise en espace sul palco ogliastrino dall’attore, drammaturgo e regista romano, sulle note della fisarmonica di Gianluca Casadei: una donna si rivolge al padre invalido e ormai anziano, immaginando ch’egli possa ancora ascoltarla, e inizia a raccontare. Una narrazione epica e avvincente dove l’ascesa e la caduta di un uomo, un “camminatore” infaticabile dotato di uno straordinario talento e grande abilità nelle attività manuali, onesto e coscienzioso lavoratore, ma come Edipo ingannato dagli dei e da ambigue profezie, vittima di una “fattura” o di un sortilegio”, costretto a fuggire per non compiere un duplice delitto, ovvero l’uccisione del padre e il matrimonio con la madre, si intrecciano all’avvento del fascismo e alla seconda guerra mondiale.
Antigone, la figlia che lo ha amorevolmente assistito negli anni del declino, rammenta al padre le sue gesta, e specialmente il dilemma di un giovane temerario e di buon cuore, ma anche ingenuo e poco esperto delle insidie del mondo, costretto a difendersi contro nemici armati e pericolosi, incerto tra un inutile tentativo di fuga e la scelta se combattere o morire. Nel raccogliere gli oggetti sparsi per la stanza e riunire le coppie di scarpe spaiate, la donna cerca di far ordine tra i suoi pensieri: prendersi cura di un vecchio indebolito e stanco, è impegnativo, porta con sé un carico di amarezza e compassione per quell’eroe precipitato dagli altari della gloria per le imprese con i partigiani, alla polvere, tra gli insulti e le umiliazioni, con l’accusa di aver ucciso un potente gerarca fascista.
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In una moderna declinazione del mito, si ripete la fatale concatenazione degli eventi per cui un uomo salito al trono e acclamato come salvatore di una città, ovvero l’avversario della sfinge, colui che ha sconfitto e eliminato il mostro, cela un’ombra nel suo passato, un atto di cui non è pienamente responsabile, come la reazione a un’aggressione, la cui memoria tardivamente riaffiora e dà senso all’antico oracolo. Nell’Italia del dopoguerra, alla resa dei conti, lo scontro tra fascisti e antifascisti continua in sordina, e produce nuove vittime e nuovi martiri: si dissotterrano, simbolicamente o letteralmente, i cadaveri e ciò che è avvenuto in quei tempi di disordini viene poi analizzato e giudicato forse troppo severamente in giorni di pace. Il dramma del re di Tebe si rinnova, lo scandalo per il delitto e per il matrimonio con la vedova, divenuta madre dei suoi figli, colpisce l’uomo e la sua famiglia, cancella ogni traccia di felicità: da vecchio egli consuma i suoi ultimi anni con la sola compagnia della figlia e di un assistente inviato dal Comune. La donna rivela un sogno, sul finale di questa favola triste, che riflette i nodi irrisolti e le verità nascoste del Belpaese: cala il sipario sulla surreale e simbolica festa per “Le nozze di Antigone”. E dopo gli applausi, ancora altre storie: “La fila indiana” e un’idea “esplosiva” di rivoluzione… tra ironia e leggerezza, con il talento di un grande affabulatore, per far sorridere e pensare.