Quando la community gothic si riunisce da ogni angolo del globo nel Rhein Park di Colonia nell’ultimo weekend di ogni luglio, può far pensare a un’invasione: 15mila, 20mila persone si riversano nella città tedesca colorando di nero, strade, alberghi e locali.
In apparenza potrebbe fare paura: abiti neri, trucchi shock, piercing e tatuaggi sono trait d’union di questa comunità invece estremamente educata e pacifica. Da anni seguiamo questo festival e abbiamo potuto constatare come sia caratterizzato da una voglia di sano divertimento. La receptionist dell’hotel ci confessa con un sorriso: “Mai avuti clienti così rispettosi”.
E allora l’Amphi Festival, giunto alla sua diciannovesima edizione, schiera su tre palchi gli alfieri di una subcultura, quella Gothic (Dark in Italia), molto variegata. Si va dalle sfumature classiche e medievali alle variazioni goth-metal, passando per elettronica e industrial: Project Pitchfork, Blutengel, And One, Ultrasunn, Deus ex Lumina, Girls under glass, Ruined Conflict, Hocico, Diary of Dreams, Neurotic Fish, Agent side Grinder, X-Rx, Kirlian Camera, alcuni dei nomi più noti in programma. Organizzazione come ce la aspetteremmo in terra teutonica: mai un ritardo sui live, file che scorrono senza problemi, addetti alla sicurezza scrupolosi e gentili, servizi igienici puliti e presidiati. Una macchina perfetta.
Le strade del parco, curatissimo e pieno di fiori, sono occupate da stand con ogni tipo di cucina e birra, ovviamente, e soprattutto da tanti rivenditori e artigiani che, oltre al merchandising ufficiale del festival, propongono scarpe, abiti, accessori, opere d’arte a tema gothic. Qui si possono acquistare sia prodotti seriali di brand consolidati dell’ambiente ma anche tanti pezzi unici realizzati a mano o dal design esclusivo. Se ci si stanca i tedeschi hanno pensato a tutto: c’è una spiaggia artificiale che guarda il Reno attrezzata con ombrelloni e sedie a sdraio e due bar che propongono drink ma anche succhi di frutta.
Se la musica e i look possono essere considerati azzardati ed estremi certamente non lo sono i comportamenti delle persone: non una cartaccia in terra, mai una rissa o una discussione dai toni accesi. Chi fa parte della community sembra applicare in modo naturale, come in effetti è sempre stato all’interno di questa subcultura, tutti quei giusti principi di convivenza su cui oggi dibattiamo tanto: inclusione, rispetto delle differenze, pari opportunità.
Queste sono persone che ti tengono aperta la porta mentre passi, che ti sorridono anche se non ti conoscono, che stanno attente all’ambiente e seguono per lo più diete vegetariane. Nessun tipo di discriminazione: corporature agli opposti, etnie, religione o orientamento sessuale diversi convivono pacificamente negli spazi dell’evento. E, dato non trascurabile, l’accessibilità è garantita e protetta in ognuno dei luoghi dove si svolge il festival, così come tra gli stand e sulla spiaggia.
Forse è la voglia di far festa insieme ma in Italia non si respira la stessa aria. Qui perfetti sconosciuti interagiscono in modo spontaneo per uno scambio di battute sul concerto, sull’outfit, sul pazzo tempo tedesco che alterna sole a picco a pioggia scrosciante o, come è successo a me, sull’aspetto del piatto che stavo per mangiare e che a detta di due ragazze incuriosite sembrava molto interessante.
Interazioni semplici, comunicazioni efficaci. Quando il pregiudizio e la malevolenza non si annidano nel cuore e nelle parole la convivenza è decisamente un’impresa facile e allora largo ai balli, alle pose fotografiche per immortalare il momento, largo ai cori da stadio durante i live di band amatissime dal pubblico, con un senso di civiltà che il resto del mondo ha largamente perduto.
Ci saremo anche l’anno prossimo, per vivere, ancora una volta, in questa dimensione che non può essere definita paradiso ma che ci si avvicina per pace e senso di fratellanza.