Viaggio tra le umane passioni con “L’alfabeto delle emozioni” di e con Stefano Massini, protagonista domenica 4 agosto alle 21.30 sul palco en plein air alla Stazione dell’Arte di Ulassai sotto le insegne della 25esima edizione del Festival dei Tacchi organizzato dal Cada Die Teatro. Una pièce originale e interessante sull’origine e sull’importanza delle emozioni – positive e negative – ma anche sul tentativo paradossale di reprimere e tenere sotto controllo le reazioni più naturali e istintive, per avesse timore di mostrare la propria vulnerabilità.
Si comincia da un curioso aneddoto: il racconto di un attore che nella prima tournée impersona un soldato nazista e recita in tedesco… imprimendo alle poche parole in lingua straniera un tono di minaccia e di accusa, sufficiente a suscitare la sensazione di pericolo e di tragedia imminente per una riflessione sulla necessità, per comprendersi davvero, di “parlare la stessa lingua”.
Ne “L’alfabeto delle emozioni” Stefano Massini sposa l’approccio scientifico con il suo talento d’affabulatore e narratore di storie, partendo dalle sei emozioni primarie – dolore, gioia, paura, rabbia, disgusto e stupore – innate e giù riconoscibili in una creatura di pochi mesi per poi “giocare” con le lettere, estraendo a sorte le iniziali da cui trarre ispirazione, con sequenze e combinazioni sempre diverse, per comporre una drammaturgia “aperta”, con momenti d’improvvisazione.
Nella Stazione dell’Arte, tra le opere di Maria Lai, sono andate in scena le trame suggerite dalla “M”, come Melanconia e Meraviglia, ma specialmente come Matte, ovvero le ospiti dell’Asylum sulla Blackwell Island di New York, dove venivano ricoverate le “donne lunatiche”, salito all’onore delle cronache grazie al reportage di Nellie Bly, al secolo Elizabeth Jane Cochran, pioniera del giornalismo d’inchiesta.
“F” come Felicità: un’aspirazione universale ma anche un miraggio (quasi) irraggiungibile, come un “cielo senza nuvole” cui si associa un’idea di “stabilità”, come sottolinea Stefano Massini, che mette a confronto la condizione di dèi e mortali nella mitologia e il Paradiso “dopo la morte” per i cristiani, per ricordare come il “diritto alla felicità” sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America si sia trasformato in un “diktat” nella moderna civiltà dell’apparire, dove sembra indispensabile sentirsi, o almeno sembrare “felici”. Tra citazioni da David Foster Wallace e Virginia Woolf, passando per Goethe e Kafka, la storia di Marc, colpito dalla Sindrome di Angelman, ma anche l’invito di Kurt Vonnegut: “Quando siete felici, fateci caso”.
“N” come Nostalgia, ovvero il “dolore del ritorno”, esemplificato da un’esperienza giovanile di Johann Wolfgang von Goethe, per il quale l’agognato rientro a casa alla fine della guerra improvvisamente si rivela molto meno allettante, come rinchiudersi in gabbia, tanto da indurlo a scendere dal battello e ripartire in direzione opposta, per andare lontano. E pure “N” come Nome, sulla ricerca della propria identità con la vicenda di Anna Alvares, sopravvissuta a un terremoto, e sulla natura contraddittoria e sfuggente delle emozioni, come “nebbie” o “chimere”, inafferrabili e affascinanti.
“P” come Paura, con la storia di un eroe moderno, un pilota automobilistico e “S” come Stupore, con le parole di Louis Armstrong: “alzi il velo e scopri qualcosa di te che non sai e all’improvviso ti appare chiaro”; e infine “A” come Atarassia o Alessitimia, l’assenza di emozioni, tra l’incontro di Elizabeth Gray Vining con il figlio dell’imperatore del Giappone ma anche il turbamento di una donna all’idea di dimenticare: “a forza di perdermi di vista, di distrarmi, non so più chi sono”.