Correva il 1962 quando ‘Quelli dalle labbra bianche’, primo romanzo in lingua italiana di Francesco Masala, venne dato alle stampe. Cicitu, così amava farsi chiamare, raccontava in chiave pirandelliana la tragedia dei soldati sardi del villaggio di Arasolé, nome di fantasia dietro il quale si cela Nughedu San Nicolò, il paese che gli diede i natali nel 1916. Sul finir del millennio l’autore manifestò all’attore Pierpaolo Piludu di Cada Die Teatro il desiderio di vedere i suoi personaggi sul palcoscenico ma in una versione in lingua logudorese. Venne accontentato a metà, Pierpaolo Piludu scrisse un adattamento bilingue che poi portò in teatro con la regia di Giancarlo Biffi e le musiche originali di Paolo Fresu. Da allora lo spettacolo fa stabilmente parte del repertorio di Cada Die Teatro che lo ha riproposto il 9 novembre a Tavagnacco, in provincia di Udine, il 13 dicembre a Nughedu San Nicolò e il 18 a Su Tzirculu di Cagliari dove abbiamo avuto modo di poterlo ascoltare.
Sembra avercela cucita addosso, questa storia, Pierpaolo Piludu; come se anch’egli avesse partecipato all’operazione Barbarossa assieme ai soldati dell’Armata Italiana in Russia (ARMIR) e allo stesso Cicitu Masala, protagonista fortunato, nel senso che riuscì a portare a casa la pelle, della tragica spedizione che fra il 1941 e il 1943 costò la vita a settantacinquemila giovani soldati del regio esercito. Forse sta in ciò il segreto della longevità e della potenza teatrale di questo monologo, che seppur portato in scena in maniera semplice, accompagnato soltanto dalla musica di Paolo Fresu e dalle luci ridotte all’essenziale, diventa un lungometraggio dalle tinte ben definite dove – anche per chi non ha mai visto ‘Sos Laribiancos – I Dimenticati’, film liberamente ispirato al romanzo di Masala diretto nel 1999 da Piero Livi – emergono in maniera chiara le figure di Culibiancu, Mammutone, Tric Trac, Sciarlò, Animamea e degli altri abitanti di Arasolè, che oltre alla vita sotto il cielo stellato della Sardegna si ritrovano, loro malgrado, a condividere quella sotto il basso e perennemente grigio cielo del Fronte Orientale.
Pierpaolo Piludu ha la capacità di raccontare fisicamente, e non solo attraverso la parola, in un abile gioco di equilibrio fra la lingua italiana e quella sarda nella variante logudorese, ogni singolo personaggio. Si fa pittore e tratteggia per ognuno di loro un dettagliato ritratto usando i colori di Kafka e Pirandello, lo stile di Brecht e il perpetuo gioco fra sogno e realismo caro a Eduardo De Filippo, aggiungendo le luci dei paesaggi assolati di Arasolè, che portano dentro un luminoso Renoir che va a contrastare con il “generale inverno” e le nevi del fronte del Don che ricordano il Monet di ‘La Gaza’.
Il viso dell’attore si illumina per poi rabbuiarsi a ogni singolo tocco di campana che Culibiancu, il sopravvissuto, come Cicitu Masala, dedica alla memoria di chi non è tornato in paese. Allora l’allegrezza delle storie paesane si trasforma realmente in tragedia e in pianto, con le lacrime che da un momento all’altro sembrano saltar fuori dai suoi occhi, in un crescendo di pathos che quasi spiazza il pubblico che pochi attimi prima si spellava le mani e rideva delle disavventure paesane di Sciarlò, Pistamurru, Automedonte o Giovanna la Rossa, per essere poi catapultato di schianto nell’inferno del dramma della guerra, con le campane di Arasolè che si fondono in un’unica funesta sinfonia con la tromba e il flicorno di Fresu e la Katjuša russa, un micidiale sistema di lanciarazzi che all’epoca veniva chiamato anche “l’organo di Stalin”.

Emerge allora l’attualità di una vicenda vecchia di ottant’anni che, pur essendo fiction, racconta la storia di ogni singolo villaggio sardo, dove nel monumento ai caduti figura sempre qualcuno perito o disperso sul Fronte del Don, non lontano da quei luoghi dove i cannoni sparano ancora oggi. Ecco a cosa serve a distanza di anni questo spettacolo. A raccontare una porzione di storia isolana che è ancora poco conosciuta, una storia di ragazzi fra i venti e i trent’anni che si ritrovarono in quell’armata fantasma che a migliaia di chilometri da casa combatteva una guerra insensata, se mai le guerre avessero un senso, della quale, non presentendo gli eroici altisonanti caratteri cari alla retorica postbellica degli “intrepidi sardi”, delle medaglie al valore e de “sa vida pro sa patria” si è badato spesso a sottacere.
Adolf Hitler scelse di invadere l’U.R.S.S il 22 giugno del 1941, quasi la stessa data con la quale Napoleone Bonaparte aveva iniziato la sua campagna contro la Russia zarista. Qualcuno ha scritto che aveva sfidato la storia e che la storia aveva vinto. Perdettero i poveri invece, i laribiancos, quelli dalle labbra bianche dalla fame di ogni nazione, mandati al macello nei vari fronti di guerra; perdettero quelli sepolti sotto le macerie delle città bombardate, come la Cagliari del 1943, che lo stesso Pierpaolo Piludu e Cada Die Teatro hanno raccontato con lo spettacolo ‘Memorie di guerra, percorsi di pace’.