di Francesca Mulas
C’è una Sardegna molto lontana dalle immagini patinate di mare e spiagge. E’ un’isola di paesaggi aspri e inospitali, distanze infinite, lontananze, rancori. Una terra vera, che ben poco ha a che fare con stereotipi e folklore. Con “L’Agnello”, uscito nel 2019 ma in proiezione in queste settimane dopo i lunghi mesi di stop al cinema imposto dal Covid-19, il regista Mario Piredda ha firmato un film che rappresenta in maniera finalmente sincera la Sardegna.
E’ un ottimo esordio per Piredda, sassarese di quarant’anni, laureato al Dams di Bologna e con una lunga esperienza di regista, operatore e montatore video, autore di cortometraggi e documentari e alle prese, oggi, con il suo primo lungometraggio. “L’agnello” non è solo è un film bello, originale, curatissimo in tutti i dettagli, ma è anche un film prezioso perché racconta una Sardegna sconosciuta ai più: quella delle servitù militari (solo nell’Isola ci sono il 60% delle servitù e del demanio militare di tutta Italia, e si fa esplodere l’80% dei proiettili che esplodono annualmente in Italia), dei poligoni dove si testano armi e strumenti di guerra, si sperimentano strategie militari e si sparano missili e bombe; qui, in particolare tra Teulada e Perdasdefogu, uomini e animali si ammalano di tumori e patologie varie in maniera preoccupante, e veleni, polveri e liquami si diffondono indisturbati tra aria, acqua e terra.
Un dramma ben documentato da diverse inchieste giornalistiche nazionali e internazionali e oggetto di commissioni parlamentari di inchiesta e indagini giudiziarie arrivate in tribunale (attualmente è in corso a Lanusei il processo di primo grado contro otto imputati, accusati di omissione dolosa di cautele contro infortuni e disastri ambientali per la cosiddetta “Sindrome di Quirra”), ma ben poco conosciuto, purtroppo, al di fuori della Sardegna.
“L’agnello” parla proprio di questo, e lo fa in maniera delicata attraverso la storia di Jacopo (interpretato da Luciano Curreli), un uomo che scopre di essere malato di leucemia, del padre Tonino (Piero Marcialis) e di sua figlia Anita (con l’esordiente giovanissima Nora Stassi), che non si arrende alla malattia e pur di trovare un donatore di midollo per il padre arriva a contattare lo zio Gaetano (Michele Atzori), che non parla col fratello Jacopo da anni a causa di vecchi rancori. Sullo sfondo, i paesaggi aridi e sterminati di Urzulei e della Sardegna più selvaggia, set ideale per una vicenda drammatica e intensa. Notevole la figura di Anita/Nora Stassi, che nella recensione de L’Espresso è definita “una delle più belle figure femminili viste al cinema in Italia da tempo”.
Imperdibile, se si vuol conoscere una Sardegna lontana dalle raffigurazioni da cartolina, che ha a che fare ogni giorno con i problemi concreti della disoccupazione e dell’inquinamento ma non rinuncia mai a sperare e sognare.