“Le montagne sono donne immense, eppure tante portano nomi di uomini”, scrive Marta Aidala nell’incipit de “La strangera”, romanzo d’esordio della scrittrice torinese, pubblicato nell’agosto 2024 da Ugo Guanda editore. Il libro è stato presentato per la prima volta in Sardegna durante Once upon a place, il festival in cui “si racconta come si raccontano i territori”, che esplora il potere delle storie nel marketing territoriale, tenutosi il 28 e il 29 marzo scorsi nella frazione sarda del Guilcer.
Aidala segue la via tracciata prima di lei da Antonia Pozzi, la quale nella poesia “La montagna” paragona infatti le alture a “immense donne”. Per capire in profondità di cosa tratti questo libro bisogna però scavare dietro il titolo e andare molto oltre la prima impressione che – approssimativa – porterebbe a etichettarlo come un racconto sulla montagna. “È un romanzo di formazione”, suggerisce l’autrice durante l’ospitata a Ghilarza.
La narrazione parte da una scelta coraggiosa e inconsueta a un tempo, specie per una ragazza di città: la giovane protagonista del romanzo, Beatrice, una mattina di maggio lascia Torino, abbandona affetti e università e si trasferisce in montagna per lavorare in un rifugio in vista della stagione estiva. I punti di contatto con l’autrice sono molteplici: il tipo di esperienza vissuta, l’amore per le vette, l’escursionismo, l’arrampicata e l’alpinismo, ma “questo non è propriamente un romanzo autobiografico. Beatrice ed io non siamo la stessa persona: io sono Marta, Beatrice è Beatrice”, precisa Aidala.
“Quando mi sono trasferita in montagna, anch’io come Beatrice credevo di conoscerla, ma di fatto non la conoscevo, e venivo chiamata ‘la strangera’, che in dialetto piemontese significa ‘la straniera’. Venendo dalla città io ero una ‘straniera’ per gli abitanti della valle in cui avevo scelto di vivere, e nei miei confronti c’era sì accoglienza ma anche parecchia diffidenza. Al tempo stesso anche loro erano ‘stranieri’ per me, e quindi c’è sempre stato questo doppio binario”, ha aggiunto la scrittrice.
Beatrice però è “strangera” due volte: la seconda in quanto donna inserita in un microcosmo di soli uomini, dediti ai più disparati lavori di fatica. La vita che il romanzo racconta è quella che tutti i giorni vivono i montanari, fatta di sacrificio e ridotta all’essenziale. Non vi è alcuna mitizzazione della montagna come luogo mistico di introspezione che è spesso speculare alla mitizzazione delle isole circondate da acque cristalline e quindi, nell’immaginario collettivo, paradisiache.
Le suggestioni offerte sono tante: tra le righe si racconta come quella dello straniero sia una dimensione comune a molte circostanze. Non si è stranieri solo quando si cambia luogo in cui vivere, lo si è anche quando a cambiare sono i luoghi che abbiamo sempre attraversato, quando per esempio il perimetro noto muta per cause collegate ai cambiamenti climatici.
“La strangera”, inoltre, è anche e soprattutto il viaggio della protagonista dentro se stessa e la sua personale ricerca del senso della vita. “In montagna nessuno fa domande. Si preferisce guardare, aspettare, e le risposte trovarsele da soli. Io invece volevo sapere tutto subito, faticavo ad avere pazienza”, dirà Beatrice riflettendo tra sé e riappropriandosi del senso del tempo, che in montagna acquista tutto un altro significato, specie nel periodo invernale.
L’antropologo ed esperto di letteratura dei luoghi, Vito Teti, nel suo saggio “La restanza”, scrive qualcosa di molto vero: “Un luogo è un insieme di relazioni, di legami, magari controversi e mutevoli, eppure indispensabili”. Aggiunge inoltre che “l’anima di un luogo deve essere scoperta allo stesso modo dell’anima di una persona. È possibile che non venga rivelata subito e che il suo diventare familiare richieda molto tempo e ripetuti incontri”.
Tutto ciò vale per i luoghi, ma anche per le trame di un libro che si svelano pagina dopo pagina, e “La strangera” di Marta Aidala ne è un esempio tangibile.