“I camposanti non hanno rimpianti”. Così recitano i versi di ‘Monumentale’, brano di ‘Fantasma’, crepuscolare album dei Baustelle pubblicato nel 2013.Questi versi si adattano perfettamente ai cimiteri israelitici e al concetto di Bet ha-olam, il nome che nella cultura ebraica viene dato ai giardini sepolcrali, che significa letteralmente “casa dei viventi” o anche “luogo dell’eternità”. Ogni camposanto e ogni tomba vengono edificati per durare per sempre. Siamo stati al Berlino-Weißensee, il cimitero ebraico che con i suoi 43 ettari di estensione e le sue 115 mila tombe è il più grande d’Europa e queste sono le nostre impressioni.

Il cimitero di Berlino-Weißensee si trova nel quartiere di Pankow, nella zona settentrionale di quella che fino alla caduta del muro fu la Ostberlin. Vi si accede dalla Herbert-Baum-Straße, dall’ingresso dove è stato edificato il monumento alle vittime dell’Olocausto. Inaugurato il 9 settembre del 1880, negli anni della persecuzione nazista aveva custodito, interrati, quasi seicento rotoli della Torah. Scampò miracolosamente alle profanazioni e alla devastazione che le SS avevano riservato a diversi cimiteri europei, come ad esempio quello di Remuh a Cracovia. Il perché non è mai stato chiarito in maniera definitiva: c’è chi sostiene che la sua salvezza vada attribuita alle notevoli dimensioni del camposanto, altri ancora invece, a una credenza del misticismo nazista sulla presunta presenza di un Golem, un fantasma, mitico personaggio della letteratura ebraica, che aveva il compito i proteggere il cimitero. Grazie a questa superstizione nessun poliziotto o soldato osò mai metterci piede.
Un immenso bosco protegge l’infinità delle tombe allineate nei quadri fra gli alberi mentre un gigantesco oceano di edera adorna e allo stesso tempo soffoca ogni sepolcro. Lapidi, templi e mausolei sono in gran parte coperti da coltri di muschio, cascate di linfa e pollini sedimentati da decenni. Pochi eredi hanno avuto questi morti, che potessero prendersi cura dei loro marmi, e questo ha fatto si che nei decenni il cimitero sprofondasse in gran parte in un’affascinante decadenza che traspira di storia e abbandono. Tuttavia la sensazione che si prova, forse anche per la totale assenza di statue, angeli e fotografie, non è quella dell’angoscia, della pietà e del dolore che spesso si riscontra nei cimiteri cristiani. Nonostante i richiami alla Shoah la maggior parte di questi sepolcri, da quelli più umili a veri e propri templi ricchi di colonne e fregi dove compaiono menorah (il candelabro ebraico a sette braccia) e stelle di David, fanno pensare a un’epoca antecedente alla catastrofe.
Non mancano le tombe dei personaggi che in vita avevano goduto di fama e meriti nei campi dell’economia, dell’arte, della scienza, dell’architettura e della politica. Qui riposano Samuel Bellachini, uno dei più famosi prestigiatori nella Germania ottocentesca; Rudolf e Fanny Einstein, contemporaneamente zii e suoceri di Albert Einstein; Tom Seidmann-Freud autore di libri per bambini; Senna Hoy, anarchico morto in Russia nel 1914; Moritz Heimann, scrittore ed editore, e tantissimi altri.

È facile perdersi qui, ma forse è il modo migliore per visitare questo cimitero che a ogni pie sospinto riserva soprese e desta nuove curiosità. Bisogna prendersi del tempo per farlo, la fretta è largamente sconsigliata, come bisogna prendersi alcune pause in questo labirinto dove l’unica canzone che si sente è quella del pettegolo cinguettare degli uccelli e il rumore delle zampe di topi e scoiattoli sulle enormi distese di foglie secche. Ci si ferma perché si vuole saperne di più su qualche tomba e così si apprende leggendo sull’iPhone, che qui per scampare alla deportazione e alla camera a gas, fra il 1933 e il 1945, si sono tolte la vita 1907 persone, e allora un poco l’angoscia sale. Come sale la rabbia quando si viene a sapere che diverse di queste tombe sono state profanate e imbrattate, in anni non troppo lontani, dai solerti nostalgici della svastica.
Alla fine però si va via affascinati, avvolti da un’aura di decadenza serena, concetto forse comprensibile soltanto a chi ama peregrinare per i cimiteri, una sensazione probabilmente simile a quella che deve aver provato Giulia Depentor, che tra gli alberi secolari del Weißensee, alla fine dell’inverno della pandemia del 2020, vi ha trascorso parecchie ore e “fra quelle tombe sbilenche” ha maturato l’idea di ‘Camposanto‘, un podcast destinato a un grandissimo successo e l’avrebbe portata a girare i cimiteri di mezzo pianeta e a scriverne nel bellissimo libro ‘Immemòriam’ pubblicato lo scorso ottobre da Feltrinelli.
Se andate a Berlino prendetevi un giornata per perdervi in questa “opaca infinità” e vivere il pieno della vostra vacanza al Weißensee perché, come cantano i Baustelle, qui davvero, la vita “non spira mai”. Venite voi a farvene un’idea, perché descrivere realmente quello che si prova è praticamente impossibile.

@Tutte le foto sono di Maurizio Pretta