L’ultima fatica teatrale di Alessandro Serra, dopo lo straordinario successo di ‘Macbettu’, in questi giorni a Sassari e a Cagliari per la rassegna curata da Cedac, scava ancora più a fondo sulla condizione umana, sul dubbio insito nella vita stessa, sull’incapacità di governare gli eventi. ‘Tragùdia-Il canto di Edipo’ non è solo una magnifica messa in scena del dramma greco scritto da Sofocle quanto un’analisi impietosa dell’uomo e del suo ruolo nel mondo.
Prodotto da Sardegna Teatro / TRIC, Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Fondazione Teatro Due Parma, in collaborazione con la Compagnia Teatropersona e I Teatri di Reggio Emilia ‘Tragùdia-Il canto di Edipo’ vede il regista curare anche scene, luci, suoni e costumi.
Serra utilizza con grande sapienza gli elementi stilistici che ormai lo rendono riconoscibile: un intelligente uso del buio e delle luci, una musica immersiva d’impatto, una cura dei movimenti del corpo in bilico tra naturale e onirico. A questo si aggiungono altre componenti fondamentali del testo classico ma anche imprescindibili per lanciare un messaggio alla contemporaneità partendo da qualcosa di antico, dal momento che l’arte è soprattutto comunicazione (leggi la sua intervista a cura di Carlo Argiolas)
La lingua, padroneggiata senza alcuna esitazione da Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Jared McNeill, Chiara Michelini, Felice Montervino, è il grecanico, vicina al greco e appartenente a pochi comuni ai piedi dell’Aspromonte. Una scelta programmatica che manifesta la volontà di perseguire un’arte ormai considerata di nicchia, scalzata dal bieco intrattenimento, riappropriandosi da un lato di quell’elitarietà apparente dettata dal linguaggio colto, ma dall’altro puntando invece sull’emotività e sull’essenza dell’arte stessa: generare il dubbio.
E quindi, in quest’ottica, il dubbio di Edipo trascende l’opera teatrale per insinuarsi nel nostro quotidiano, denuncia le miserie delle lotte fratricide, il non senso della sete di potere, l’avventata follia di ingannare il destino.
Il dramma si svolge su un palco dalla scenografia essenziale e rigorosa che non si limita a contenere e inquadrare le scene ma ne diventa parte integrante, utilizzata come strumento sonoro, come passaggio da un mondo all’altro, esaltata da un’oscurità solida e squarci di luce abbagliante. C’è spazio anche per una nota ironica con la citazione al ‘Frankenstein Junior’ di Mel Brooks o pecchiamo di ybris?
Se è vero che le testimonianze storiche de “il canto del capro”, così i filologi hanno ricostruito l’origine del termine greco tragedia, non danno certezze su quale fosse esattamente la modalità di recitare le opere siamo sicuri della presenza di un coro e possiamo presumere delle parti cantate. Serra recupera questo elemento prezioso per conferire a dei e veggenti un linguaggio peculiare, accompagnato da un coro di voci a volte stridenti altre profonde che, grazie a questo effetto di sdoppiamento, sembrano emergere da un altro mondo. Gli abiti, altrettanto severi, sono testimoni silenti degli eventi e accompagnano la narrazione con flemma drammatica, in particolare nella figura di Teseo, muta ed enigmatica grazie all’uso di una maschera.
La dimensione è sempre in bilico tra l’urgenza della trama, la personale ricerca di Edipo di una verità che lo condurrà alla morte, e una visione onirica, vicina all’idea di un rito. Sul palco oscilla a lungo come un pendolo un turibolo in cui brucia l’incenso, uno degli elementi sempre presenti nelle opere greche come essenziale collegamento col divino sia nei sacrifici che nelle interrogazioni degli oracoli.
Il risultato finale è un omaggio affascinante alla drammaturgia e al suo significato più profondo, quello di indagare i misteri umani, arricchito dalla complessità del lavoro di ricerca svolto dalla regia per restituire profondità a una storia che, senza questo apporto, resterebbe solo una vicenda lontana nel tempo, una fiaba nera senza appigli col presente e che invece, ancora ci rappresenta con forza. Il finale, affidato a una citazione del testo originale “Tu e questo paese e i tuoi uomini siate felici, e nella prosperità ricordatevi di me, quando sarò morto” non è solo un modo per calare il sipario su Edipo ma una chiamata collettiva per un risveglio corale della società e per ritrovare l’umanità perduta.
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