C’è qualcosa di giusto nella pena inflitta a un ragazzo, anche se ha ucciso per vendicare il crudele assassinio del fratello? E può un tribunale mettere la legge, anche se durissima, davanti ai sentimenti della pietà umana e del perdono? Sono i terribili dilemmi che nascono da “Arcipelaghi”, spettacolo che il Cada Die Teatro porta in scena da 15 anni per la regia di Alessandro Lay con Alessandro Mascia e Pierpaolo Piludu. In questi giorni la piece è stata rappresentata davanti a un pubblico speciale: i detenuti della casa di reclusione di Isili e quelli della casa circondariale di Uta, Cagliari, che tra venerdì 11 e 18 dicembre hanno potuto assistere allo spettacolo via streaming con un collegamento in diretta dal teatro la Vetreria.
L’idea è stata realizzata con il contributo della Fondazione di Sardegna, ed è parallela a quella di un altro progetto più ampio, “Per Aspera ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza” che ha coinvolto sotto il coordinamento dell’associazione Acri undici compagnie teatrali in altrettante carceri: oltre a Cagliari e Isili ci sono Milano, Palermo, Torino, La Spezia, Bologna, Perugia, Rovigo, Modena, Saluzzo e Genova, dove si sono svolti nel corso del 2019 laboratori ed eventi formativi rivolti a operatori artistici, operatori sociali e detenuti.

“A Uta abbiamo avviato, nell’ottobre del 2019, quattro laboratori – così Alessandro Mascia – drammaturgia, recitazione teatrale, scenografia teatrale e musica. La risposta è stata estremamente positiva e per questo vorrei ringraziare ed evidenziare il grandissimo sostegno avuto dal dirigente e dai docenti della scuola CPIA 1 Karalis che ci hanno consentito (e superati i rischi da pandemia dovrebbe consentirci nuovamente) di operare insieme a loro, nelle stesse ore di lezione della scuola, coi detenuti. In questo periodo nessun altro volontario, nessuna associazione ha avuto l’opportunità di continuare, sia pur on line, questa importante relazione. Insieme a loro, la nostra riconoscenza va anche a tutti i responsabili della Casa circondariale che sin da subito hanno creduto nel progetto e hanno creato le condizioni perché tutto questo potesse realizzarsi”.
Il progetto di teatro in carcere trova dunque una nuovo appuntamento oggi, con la diretta dello spettacolo “Arcipelaghi” messo in scena ad hoc davanti al pubblico della popolazione detenuta di Isili e Cagliari. Liberamente ispirato al romanzo “Gli arcipelaghi” della scrittrice sarda Maria Giacobbe (da cui nel 2001 il regista Giovanni Columbu ha realizzato il film omonimo), lo spettacolo racconta una triste vicenda ambientata in Sardegna ai primi degli anni Sessanta. Una storia di omicidio, violenza e vendetta come ne abbiamo letto tante sulle pagine di cronaca nera: Giosuè, un ragazzo di appena dodici anni, viene assassinato da tre uomini perché testimone di un furto di bestiame. A chiamare la vendetta è sua madre, che mette una pistola in mano a Oreste, fratello gemello di Giosuè. Il delitto si compie nella notte di Sant’Antonio, mentre la pioggia cerca di spegnere i fuochi che accompagnano l’uscita delle maschere del carnevale tradizionale sardo. Alla fine, il dilemma: può un ragazzo essere condannato davanti agli uomini per aver vendicato un omicidio tanto atroce?
“Il teatro, come tutta l’arte, ha il compito e il dovere non tanto di dare risposte ma di porre domande, possibilmente scomode e di non facile soluzione – commenta Alessandro Lay – domande che invitino lo spettatore a prendere posizione su quello che dal palcoscenico gli viene proposto. Lo spettacolo racconta non una ma più vicende, non espone una verità ma, come fossero vere e proprie isole che man mano affiorano, porta a galla le diverse visioni di ognuno dei personaggi, fino a formare appunto un ‘arcipelago’ di verità in cui decidere cos’é giusto e cosa no resta un compito del lettore o, nel nostro caso, dello spettatore”.

“La bellissima e terribile storia di Maria Giacobbe – sottolinea Pierpaolo Piludu – è una riflessione profonda sia sui temi della violenza, della vendetta e della pena, che sulle debolezze e difficoltà che possono spingere qualsiasi essere umano a compiere azioni delittuose. È un invito a metterci nei panni di tutti i protagonisti della storia facendoci riflettere sul dolore che ogni nostro comportamento può determinare in altri esseri umani”.
(Foto di Gianfilippo Masserano)