Avevamo già parlato dell’epopea dei Bissiri Caredda e del visionario Augusto, causa scatenante dell’emigrazione della sua famiglia da Seui alla lontana California. Oltre ai successi professionali nel mondo della tecnica, della pubblicità, della scienza e della letteratura i Bissiri non avevano tardato a inserirsi perfettamente nel variegato mondo della multiculturale Los Angeles e parteciparono attivamente alle attività di diverse associazioni. Oggi parliamo di Amelia, la generosa, quanto sfortunata, ragazza che si spese per dare aiuto e conforto agli emigrati europei che dopo estenuanti viaggi e mille peripezie raggiungevano la Città degli angeli con il sogno di una vita migliore e di un lavoro dignitoso.
Forse non era poi tanto diverso da oggi quel 1915. In Europa divampava una sanguinosa guerra che presto avrebbe coinvolto anche il Regno d’Italia e negli Stati Uniti l’opinione pubblica era spaccata fra quanti, soprattutto dopo l’affondamento del transatlantico Lusitania ad opera di sommergibile tedesco, invocavano l’ingresso in guerra attraverso una feroce campagna interventista che passava anche dal cinema, con il film ‘The Battle Cry of Peace’, un dramma di propaganda antitedesca del regista Stuart Blackton e chi invece sosteneva ad oltranza il neutralismo e la pace.

Sul fronte dell’emigrazione, che negli anni della guerra avrebbe avuto un significante calo, non si era ancora arrivati a un provvedimento per ridurre i flussi di disperati in arrivo dall’Europa come l’ Emergency Quota Act del 1921, ma da tempo le proteste contro l’emigrazione incontrollata tenevano banco in tutti gli States prendendo di mira gli WOP, i without passport e in particolar modo i “macaroni” e i “dagger”, i disonesti italiani del meridione dal coltello facile. Il ragionamento di chi si opponeva all’accoglienza degli emigrati era molto simile a quello dell’attuale presidente statunitense Donald Trump che poche settimane fa ha dichiarato che non permetterà “che gli Stati Uniti siano distrutti da migranti illegali e criminali del Terzo Mondo” o a quello del governatore democratico della California Gavin Newsom che ha proposto di togliere l’assistenza sanitaria gratuita agli immigrati irregolari.
Nel primo Novecento raggiungere gli Stati Uniti dalle sponde dell’Europa passando per Ellis Island era un impresa difficile, arrivare sino alla west cost e nelle città di Los Angeles e San Francisco complicava ulteriormente le cose. Fu così creato un comitato di soccorso alle colonie di immigranti provenienti da Italia, Spagna e Francia al quale avrebbe aderito a Los Angeles una giovane e intraprendente ragazza sarda, Amelia Bissiri da Seui.
Amelia era l’unica femmina sopravvissuta nell’estesa famiglia Bissiri Caredda, le sorelle Amalia, Ada e Aida erano morte ancora in tenera età. Negli U.S.A aveva avuto modo di diplomarsi, seppur tardivamente, al college e di studiare lingue alla University of Southern California, la stessa dei fratelli Alfio e Augusto, dove si laureò nel 1920 con una dissertazione sull’estetica di Ramón María del Valle-Inclán per poi andare a insegnare lingua spagnola al Pasadena City Schools e al Polytechnic High School.
Agli inizi del 1915 Amelia Bissiri partecipa attivamente alle iniziative della Woman’s Home Missionary Society del quartiere di Westlake, dove conosce e abbraccia la causa della chiesa metodista e dove spesso, in un mondo a prevalenza maschile, viene chiamata in qualità di conferenziera ed è nell’Istituto Internazionale per il soccorso per gli immigrati, nata in seno alla stessa associazione, che riesce ad accattivarsi la stima e la simpatia dei bisognosi. La colonia di emigrati, dove prevalgono gli italiani, è abbastanza nutrita, circa novemila persone, fra le quali sono moltissime ad aver bisogno di aiuto. Amelia è in prima linea per procurare cibo e vestiario, assistere gli ammalati, badare ai neonati mentre le madri sono a lavoro ed aiutare le persone a trovare un’occupazione. Sfruttando a pieno la sua dimestichezza con le lingue, mette le sue competenze a disposizione della Young Women’s Christian Association, organizzazione internazionale no profit ancora esistente che che si concentra sull’emancipazione, la leadership e i diritti delle donne, negli uffici di 1315 Pleasant Street dove assieme alle colleghe, in tre parlano otto lingue diverse, sotto la direzione di Miss Sue Barnwell, tiene i corsi di inglese per le ragazze straniere, agevolandole così nella ricerca di un impiego.

Il suo operato non passa inosservato e il suo nome finisce ben presto fra le colonne dei giornali che ne lodano l’impegno e le qualità e le notizie che la riguardano rimbalzano presto oltre l’Atlantico, sino a Cagliari, dove l’Università Popolare nata sulle ceneri del Circolo filologico la celebra durante un’incontro sociale ed esalta le gesta di quella giovane sarda “dagli occhi bruni”.
Il percorso di Amelia, come del resto quello dei suoi fratelli, in particolare Augusto e Amerigo, prosegue fra l’esercizio della professione, l’associazionismo e il volontariato per i più bisognosi, ma la sua grande generosità e il suo disinteressato altruismo non sono ricambiati dalla corrispettiva dose di fortuna. Muore prematuramente a Los Angeles a soli 35 anni, era nata a Seui il 22 settembre del 1888 e diventata cittadina statunitense nel 1917. Riposa al Grand View Cemetery di Glendale nella Città degli Angeli che la volle come figlia adottiva.
La sua storia andrebbe ulteriormente approfondita, come quella della sua famiglia e di Augusto, l’uomo che sognava il futuro, pensandolo, come la sorella, probabilmente migliore di quello del 1915, non potendo immaginare che invece, oltre un secolo dopo, la guerra ancora avrebbe scosso l’umanità e molti migranti avrebbero avuto ancora bisogno di tante altre Amelia.