Questo è il racconto del nostro incontro con una lingua e una cultura lontane da noi, e della nostra esperienza nella divulgazione scientifica. I kanji possono essere microbiologia? In che modo una scrittura affascinante e antica si può fondere con i piccoli esseri che segnano, inosservati, tutta la nostra vita? Per comprenderlo dobbiamo di tutto parlare dei due protagonisti.
Il kanji è uno dei quattro alfabeti giapponesi, composto da ideogrammi che rappresentano un concetto, una parola, frasi, storie. Quindi vita.
Ora è il momento della microbiologia. Oltre ad essere una delle materie di indirizzo del nostro indirizzo Tecnico tecnologico Bio sanitario e Ambientale alla scuola De Sanctis-Deledda di Cagliari, è una passione per le nostre professoresse Laura Bifulco, Daniela Fadda, Emanuela Ferru e Tiziana Tomasi. Per loro non significa semplicemente spiegare concetti dal libro, ma una vera e propria condivisione del loro sapere e della loro vita: la prima cosa che abbiamo imparato con loro è che la microbiologia è bellezza, ed è vita in tutti gli ambienti possibili. Tutta la nostra vita, misteriosamente, è determinata dalla loro presenza: nel nostro corpo, ad esempio, vivono più microrganismi che cellule dei nostri tessuti…si può dire che noi siamo il loro mondo, la loro casa, e loro ci tengono in vita. E tutto ciò che ci circonda, il nostro nutrimento, l’aria che respiriamo, ha come base e fondamento le comunità microbiche.

Imparando a manipolare i microrganismi, utilizzando i terreni di coltura, ci è sorta una domanda: perché non disegnarci sopra? È un buon metodo per acquisire manualità con tecnica, strumenti e microrganismi, divertendoci con i colori e le forme. Abbiamo così trovato un’alternativa alla classica semina di microrganismi su piastra, tanto che per addobbare la scuola nel periodo natalizio le nostre palline sull’albero erano piastre Petri con i nostri disegni: i disegni delle classi dell’istituto biotecnologico sanitario e ambientale. Per l’Open Day, il giorno in cui la scuola si apre alle visite, abbiamo pensato questo: preparare piastre contenenti terreno di coltura, sviluppato da noi, totalmente naturale, in modo che i visitatori potessero portarle a casa senza alcun kanji per “oni (demone)” e “vita” rischio.

Potevamo proporre loro di toccare le piastre e avrebbero visto, in seguito, la crescita microbiologica nei punti in cui avevano appoggiato le dita. Una bella conquista, specialmente per i bambini, un bel modo per farli incuriosire e appassionare alla microbiologia.
La nostra abilità nelle semine intanto cresceva, e mesi prima del periodo del Festivalscienza, una manifestazione di divulgazione scientifica a cui il nostro Istituto ogni anno partecipa con progetti di ricerca originali, una lampadina si è illuminata: perché non scriviamo con i microrganismi?
Sicuramente la cosa più naturale sarebbe stata scrivere con il nostro alfabeto, ma i batteri, i lieviti e le muffe si espandono quando crescono, quindi se avessimo scritto con i caratteri del nostro quotidiano non si sarebbe letto niente, a causa degli spazi ristretti e delle dimensioni delle lettere.
Idea bocciata quindi, ma non del tutto. Non ci siamo arresi, ed ecco subito una seconda lampadina: non esiste solo la lingua italiana. Allora ci siamo tutti rimboccati le maniche, abbiamo cercato di capire quale fosse il sistema migliore e, tra un’esclusione e l’altra, la scelta giusta ci è proprio sembrata il giapponese: una lingua in cui non ci sono solo le lettere, ma ideogrammi: potevamo esprimere un intero concetto con un solo simbolo in ogni piastra.
Siamo andati a ricercare l’origine dei kanji, scoprendo che questo alfabeto nasce da una contaminazione tra le due lingue: cinese e giapponese. Studiando la struttura della lingua siamo stati colpiti da come la forma naturale si fa segno, per diventare parola e significato più ampio, con delle sfumature affascinanti che ci hanno completamente conquistati.
E nonostante non fosse facile riuscire a tracciare minuziosamente i singoli ideogrammi, abbiamo fatto pratica e siamo riusciti a prendere la mano, acquisendo quasi senza accorgerci padronanza contemporaneamente in due cose: una nuova scrittura e la tecnica di semina dei microrganismi sul terreno.
Il nostro progetto era perfetto per il Festivalscienza di Cagliari, dato che il tema di quest’anno, “Contaminando”, si applica alla perfezione ai kanji, vista la loro origine
come contaminazione tra la scrittura cinese e l’armonizzazione del giapponese.
Ma non ci siamo accontentati. La terza lampadina si è accesa: perché non far scrivere i bambini sulle piastre, creando un laboratorio nei giorni di esposizione? Perché non rendere i kanji un dono per tutti?
Ancora una volta ci siamo messi al lavoro, alla ricerca dei kanji che potessero collegarsi alla microbiologia o alla nostra vita, evitando i kanji troppo difficili, eravamo ancora alle prime armi e sicuramente con dei segni più semplici avremmo agevolato i bambini.
Così è partita la ricerca per sceglierli, affiancarli alle immagini corrispondenti e alla traduzione, poi li abbiamo stampati e plastificati. A quel punto è partito il grande lavoro di allestimento dei materiali necessari per il laboratorio interattivo: litri di terreno, quattrocento piastre Petri, centinaia di aliquote di Saccharomyces (lievito di birra, in modo tale che i bambini potessero manipolarlo senza problemi), centinaia di tamponi sterili, pennelli, parafilm e pennarelli necessari per l’esperienza.
E finalmente sono arrivati i giorni del Festival. Professoresse e alunni pronti a condividere le proprie esperienze e passioni con i visitatori. Le prime volte, noi alunni un po’ impacciati siamo stati aiutati dalle docenti, ma con l’andar dei giorni, siamo riusciti a cavarcela da soli, mostrando una padronanza della materia e un entusiasmo tale da fare incuriosire ogni persona. E la risposta non si è fatta attendere: siamo stati letteralmente travolti dall’ entusiasmo di visitatori di ogni età.
Quest’esperienza, durata cinque giorni, ha avuto un enorme impatto su noi studenti: è stato meraviglioso riuscire ad essere motivati nel trasmettere le passioni che le insegnanti hanno condiviso con noi, cercando di fare lo stesso con i visitatori, mostrando i nostri progetti di studio e ricerca.
Vedere come i bambini fossero stupiti di fronte a tanti colori diversi, come fossero incuriositi dai microrganismi, specialmente dalle Pseudomonas (batteri che, sotto la luce UV, diventano fluorescenti) utilizzate per scrivere i kanji che significano “festival scienza” o dal kanji che significa “viola” scritto con un batterio che produce un pigmento di colore viola. Senza contare i ragazzi provenienti dai paesi orientali: appena hanno visto le decine di piastre con i kanji scritti da noi, si sono illuminati iniziando a leggerli a voce alta. Si sono sentiti a casa, coinvolti, ed era quello il nostro obiettivo.
Aiutare i visitatori a ricreare la bellezza con cui noi lavoriamo ogni giorno, vederli così entusiasti e coinvolti, incuriosire persone di tutte le età, dai più piccoli (3 anni) ai genitori e nonni più grandi ci ha regalato una soddisfazione che è difficile esprimere pienamente a parole. È certo che vedere le persone felici di andarsene con un bagaglio culturale arricchito, collaborare tra noi tutti (prof e alunni), unire diverse passioni e riuscire a comunicarle, aver modo di esprimerci senza sentirci giudicati, il costante impegno quotidiano, rientrare nella propria casa con felicità e serenità certi di aver fatto un buon lavoro, è e sarà un ricordo che difficilmente andrà perduto. Il lavoro, la preparazione e il feeling che si è creato tra tutti noi rende questa esperienza unica e indimenticabile.