Lo chiamano culinary gardener, lo definiscono il giardiniere più famoso di Italia. Enrico Costanza preferisce la più semplice definizione di ortolano: è questo che fa per i migliori chef d’Italia, cura ortaggi e verdure che andranno nelle tavole dei ristoranti stellati. Non si limita solo a scegliere, ma si occupa di seminare, piantare, far crescere e raccogliere, e insieme a tutto questo si dedica alla riscoperta di erbe e aromi dimenticati, di vegetali spariti dal mercato, di sapori che i nostri nonni hanno conosciuto e noi abbiamo sacrificato in nome del consumo veloce.
“Non abbiamo inventato nulla, l‘agricoltura esiste da 12 mila anni, ma mancava una figura che coniugasse la coltivazione con l’alta cucina – ci racconta Enrico Costanza al telefono dalla sua casa di Cherasco, in provincia di Cuneo, dove vive da anni. – La ristorazione stellata è sempre più in cerca di vegetali particolari coltivati con attenzione e in modo pulito: ecco cosa faccio, ascolto i desideri dello chef e produco per lui verdure, erbe e ortaggi nel rispetto della natura”.
Costanza, nato a Cagliari 48 anni fa, ha lasciato l’Isola per studiare Lettere e Filosofia a Bologna, ma appena laureato ha capito che quella non sarebbe stata la sua strada. Dopo un corso per giardiniere ai celebri Giardini di Boboli ha viaggiato tra Inghilterra e Stati Uniti per specializzarsi nella materia. Nel 2017 ha iniziato una fortunata collaborazione con Enrico Crippa, chef del ristorante Piazza Duomo ad Alba, premiato con tre stelle Michelin e considerato tra i migliori ristoranti green nella classifica We’re Smart© World. Crippa è l’autore della ricercatissima ‘insalata 21…31…41…51’ composta da germogli, fiori e foglie e creata proprio grazie alle sapienti mani dell’ortolano Costanza.
Un anno fa Enrico ha annunciato la fine della collaborazione con Piazza Duomo per dedicarsi ad altri progetti e nuove idee; continua nel frattempo a insegnare cuisine gardening all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Cuneo.
Lo scorso 3 febbraio è stato ospite della cucina di Masterchef, il seguitissimo format in onda su Sky: “Ho portato nella trasmissione alcune erbe aromatiche poco conosciute che per vari motivi non hanno mercato: la Paederia lanuginosa, una pianta dal sapore fortissimo simile al Camembert con cui sto sperimentando un formaggio vegano di anacardi e mandorle; una menta zuccherata, chiamata zucchero atzeco, ottima per dessert e macedonia ma anche nell’insalata; ho raccontato l’aroma dell’ocimum sanctum, usata nella medicina ayurvedica e dal sapore vanigliato. E poi sto coltivando la cannabis senza thc, ha un bel profumo ed è ottima per cucinare, si sposa benissimo con tanti altri ingredienti ma è ancora poco usata. Ho portato infine la ficoide glaciale, di origine sudafricana, molto croccante e sapida, che ha il sapore del mare”.
Oggi le erbe tornano in cucina, e lo fanno con un nome cool, ‘foraging’, ma Enrico Costanza ricorda ancora una volta che le erbe spontanee in cucina non sono un’invenzione di oggi: “Vengo da una famiglia di pastori, miei nonni barbaricini raccoglievano tante erbe che crescevano spontaneamente e le portavano in casa. Sempre più nella cucina di qualità si cercano sapori che abbiamo dimenticato, e si ripropongono con grande attenzione alla qualità e al rispetto per la natura. Certo questo lavoro ha un costo, le verdure della grande distribuzione o quelle della ristorazione medio bassa non possono avere lo stesso prezzo di quelle che finiscono in un ristorante stellato, hanno una filiera diversissima. Durante i cinque anni di lavoro per Piazza Duomo mi svegliavo ogni giorno alle 4,30 del mattino, alle 6 iniziava la raccolta nell’orto, alle 8 incontravo lo chef. Il lavoro quotidiano era fatto di semina, cura, trattamenti, manutenzione, potature, e inoltre studio e ricerca continui. Molti ristoranti sono piccoli esempi virtuosi di coltivazione e reale rispetto della terra”.
E a proposito di ricerca, Enrico Costanza ci rivela che sta cercando di valorizzare alcuni ortaggi più rari e meno belli rispetto a quelli che troviamo al supermercato ma di grande qualità. Come il sisaro: “E’ una carota bianca, comparsa nel Mediterraneo durante l’età imperiale romana e scomparsa quando gli Olandesi hanno diffuso la carota che conosciamo oggi, un ibrido arancione creato come omaggio alla loro casa reale. Varrebbe la pena rimetterla nel proprio orto, così come tanti altri prodotti eccellenti che abbiamo trascurato”.
(la foto in anteprima è di Marina Spironetti)