Per il secondo anno consecutivo il Concerto del Primo Maggio non si terrà nella consueta storica piazza romana di san Giovanni in Laterano. Questa volta la location sarà l’Auditorium Parco della Musica di Roma (privo di pubblico) e sarà trasmesso in diretta sui Rai 3, Rai Play e Radio Due. Ci si augura che da quel palco, dove dal 1990 la musica anima e sostiene la giornata dedicata ai lavoratori e alle lavoratrici, i presenti diano voce e risalto a circa 400 mila addetti fra artisti e tecnici che oggi non possono svolgere il loro lavoro e che da sessanta settimane attendono risposte concrete. In un paese dove la musica “extra colta” è considerata alla stregua di intrattenimento da villaggio vacanze e ogni forma artistica popolare relegata a semplice hobby, i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo e degli eventi culturali fino ad ora hanno ottenuto soltanto le belle e “rassicuranti” parole della politica e quelle indisponenti di chi consiglia di trovarsi un “lavoro vero”. Questo ‘DePrimo Maggio‘ (Frankie Hi- Nrg mi perdonerà per lo scippo) ha il sapore del paradosso e chi tante volte si è speso a più livelli e per le cause più diverse e nobili, per dare sostegno e solidarietà a chi ne avesse bisogno, si trova oggi inascoltato a lanciare il suo disperato canto nel vuoto.
Primo Maggio e San Giuseppe, la festa che unisce i lavoratori e le lavoratrici di ogni angolo del mondo, per un giorno mette d’accordo socialismo e cristianità, celebra le agognate otto ore lavorative, rievoca il sangue di Chicago e Portella delle Ginestre, denuncia lo sfruttamento, i salari bassi e la poca sicurezza di fabbriche e cantieri. O almeno era così fino a non molti anni fa.
Anche il “Concertone” di piazza San Giovanni in Roma un tempo era diverso. Battagliero, attento alle problematiche del lavoro, sensibile verso quelle sociali, climatiche e verso le esigenze dei più deboli, univa sullo stesso palco musicisti indipendenti, cantanti di provata fama in patria e rockstar internazionali. Vi assistevano ogni anno centinaia di migliaia di giovani che accorrevano da ogni angolo d’Italia sventolando le bandiere dei partiti politici, delle sigle sindacali e immancabili erano anche quelle dei quattro mori.
Da circa un decennio le cose sono cambiate. Il concertone ha perso smalto, verve e di conseguenza interesse. Da un lato sempre più mainstream, dall’altro troppo fedele a certi cliché ormai datati, sembra quasi che oggi segua il passo dei tempi e delle mode da talent show televisivi, con buona pace del combat rock e della canzone di protesta. Inoltre dal 2014 a molti fa storcere il naso la presenza in alcune edizioni della sponsorizzazione dell’E.N.I, reputata, da più parti, in palese contrasto con lo stesso spirito della manifestazione e con i temi dell’ecologismo e lo sfruttamento dei territori e della classe lavoratrice ad essa legati. In questi ultimi giorni la polemica contro CGIL, CISL e UIL, storici promotori del concerto non si è fatta attendere e la scelta dello sponsor del colosso petrolifero, della Banca Intesa e della Unipolsai è stata aspramente criticata dai movimenti della sinistra radicale.
Tuttavia vedere quella piazza vuota per il secondo anno consecutivo darà un senso misto di sconcerto e pena. Quasi fosse il simbolo ambivalente del silenzio della musica e del governo che ricorda che gli spettacoli dal vivo sono ormai fermi da quasi 450 giorni e che anche stavolta la musica, suonata in una cavea desolatamente vuota, andrà in onda esclusivamente per i telespettatori. .
Il tema di questa trentunesima edizione sarà “L’Italia si cura con il lavoro“. Un’asserzione ineccepibile che però non sta trovando riscontro nella messa in pratica. Le richieste di alcuni settori della musica e dello spettacolo che hanno preso poco o nulla in termini di ristori e aiuti una tantum sostanzialmente non stanno trovando ascolto. Riusciranno i circa 45 artisti presenti alla seconda edizione del concertone in tempo di pandemia a fare da megafono e attirare la seria attenzione delle istituzioni su un problema che riguarda anche loro? Saranno capaci di sensibilizzare le persone su lavoratori che anche all’interno dello stesso mondo culturale vengono considerati come appartenenti a una categoria inferiore?
Forse anche in questi infausti tempi, la radice del male sta proprio in questo tipo di atteggiamento. Fino a quando la musica rock, leggera, pop – chiamatela come vi pare – e ogni forma d’arte e di comunicazione che per diversi motivi non rientra nei canoni classici della Cultura con la c maiuscola non riceveranno la stessa attenzione e lo stesso sostegno delle forme artistiche definite “alte” e a tutto il comparto lavorativo che ci gira attorno non verrà riservato il medesimo trattamento, probabilmente non se ne uscirà mai. E agli artisti e alle artiste verrà sempre riservato il mai richiesto consiglio di “trovarsi un lavoro serio”.
Considerando che le grandi trasformazioni culturali e contro culturali del secolo scorso sono passate attraverso il rock’n roll, la musica dei figli dei fiori, il punk e l’hip hop, coinvolgendo e sconvolgendo tanti altri campi artistici e stilistici, senza per questo scomodare il genio di Mozart, sarebbe opportuno e sacrosanto che questa rivoluzione nei confronti del mondo dello spettacolo venga applicata seriamente, senza preconcetti e senza anacronismi di sorta. Da parecchi anni il paese pullula di gente che a Beethoven e Frank Sinatra sta preferendo l’insalata e che forse si è veramente stancata di sollevare bandiera bianca. Ma al palazzo pare che non se ne siano ancora accorti e a quanti non avendo farina stanno chiedendo pane, il re e i ministri di corte stanno replicando serafici di mangiare pollame.
Buon Primo maggio alle lavoratrici e ai lavoratori della musica e dello spettacolo. E che sia veramente di buon auspicio affinché sia l’ultimo De-Primo.