di Francesca Mulas
Ci sono vecchi pezzi di legno ormai inutili che con qualche tocco di colore diventano preziosi oggetti d’arredo. Le pedane bruciate dalle prostitute trasformate in opere d’arte. Vecchi strumenti da contadino che formano un presepe. I mamuthones che sfidano i miliziani di Sant’Efisio a biliardino. Un mondo surreale eppure fatto di oggetti del nostro quotidiano, che messi da parte perché non più utili diventano testimoni di storie nuove. Scarti che rivivono in un contesto altro, davanti all’obiettivo di un fotografo o nelle sale espositive di musei e gallerie. E’ il mondo onirico di Davide Volponi, cagliaritano di 47 anni che da qualche anno ha dato vita a una singolare e poliedrica produzione artistica che parte proprio dal motto “Lo scarto non esiste”.
Oggi Volponi è protagonista di un interessante progetto espositivo, “A place for art”, pensato per il centro comunale d’arte e cultura Il Ghetto di Cagliari da Simona Campus ed Efisio Carbone. Un’idea nata nel post emergenza sanitaria da Covid-19 con l’obiettivo di ospitare l’arte in un momento in cui gli artisti si trovano in difficoltà: i centri culturali aprono le porte a pittori, fotografi, illustratori e scultori e danno loro uno spazio per creare ed esporre. In questi giorni Il Ghetto ospita la seconda parte del progetto (la prima ha coinvolto Simone Dulcis, Lea Gramsdorf e Francesca Randi), e fino al 6 ottobre si potranno visitare gli studi d’artista di Volponi insieme all’illustratrice Ilaria Gorgoni e alla fotografa Francesca Randi.
Gli scarti, dicevamo. “Tutto è nato dalla mia storia familiare – ci ha raccontato Davide Volponi – con l’azienda di famiglia impegnata per decenni nel commercio di legname. E’ qui che a partire dalla trasformazione del legno ho iniziato a guardare gli scarti di materiali come interpreti di storie. Dal legno poi sono passato a piombo, ferro e altri materiali inutilizzati che reinvento con allestimenti e colori nuovi”. Non sfugge, nel lavoro di Volponi, l’uso di materie povere in tutte le serie di installazioni, dai “minimondi” ai “biliardini”, dai “salumi” ai “palazzotti”: una metafora della nostra stessa vita in cui si può rinascere anche a partire dai momenti più bui.
Uno dei lavori più intensi è “Receneration”, progetto sulle pedane bruciate delle prostitute: “Per lungo tempo ho lavorato nella zona industriale di Cagliari – ci ha raccontato – e a volte capitava di regalare a donne e ragazze che stavano in strada vecchi pallet in legno a cui davano fuoco per scaldarsi. Quello che rimaneva di questi tristi falò notturni, uno scarto dello scarto, è tornato nel mio laboratorio e nel 2016 è stato messo in mostra alla galleria Macca di Cagliari: sono oggetti diventati testimoni di una realtà terribile e poco conosciuta, quella della prostituzione africana”.

Oltre ai drammi sociali, un altro tema che sta particolarmente a cuore all’artista cagliaritano è quello delle migrazioni: il “Cristo in gommone”, con una statuina adagiata su un piccolo gommone giocattolo, è un chiarissimo riferimento alla tragedia dei migranti in viaggio nel Mediterraneo, tragedia che la nostra società pure basata sui valori cristiani ipocritamente ignora. E poi la militarizzazione del territorio sardo, la produzione di bombe in Sardegna, l’identità sarda, l’inquinamento, il consumo incontrollato di plastica (legato indissolubilmente a un’altra emergenza, quella sanitaria del Covid-19) sono ben presenti nelle installazioni di Volponi, se pure raccontati sempre con ironia e apparente leggerezza.
Dopo l’esposizione al Ghetto, il mondo di Davide Volponi approderà in un’altra galleria cagliaritana, la Galleria Macca di via La Marmora. Nuovi spazi per raccontare storie sempre nuove.