Non sono qui per chiedervi né vita né perdono
ma per mostrare a tutti chi veramente sono:
non un assassino, un ladro o un traditore
ma un essere qualunque, con una testa e un cuore.
Carlo Giuliani, 1995
“Molti pensano che se rispettano diligentemente le regole, non hanno nulla da temere, ma può capitare che spesso siano proprio quelli che dettano le regole a non rispettarle, o può capitare che le regole non siano giuste”.
Comincia con questa riflessione affidata a una voce fuori campo “Di vita non si muore”, il documentario di Claudia Cipriani sulla vita di Carlo Giuliani, presentato a Cagliari venerdì 1 e sabato 2 marzo, prima al Greenwich d’essai e poi a Su Tzirculu, in via Molise 58, durante l’anteprima del X Cagliari Film Festival promosso dall’associazione culturale Tina Modotti con la direzione artistica di Alessandra Piras.
Di Carlo Giuliani, il giovane manifestante di 23 anni ucciso in piazza Alimonda il 20 luglio 2001 per mano del carabiniere Mario Placanica, durante gli scontri tra manifestanti e forze armate avvenuti in occasione del G8 di Genova (summit internazionale che riuniva i capi di stato delle otto nazioni più potenti al mondo) è stato detto tanto. Ma non tutto quello che è stato raccontato corrisponde a verità.
“Dopo il 20 luglio 2001 Carlo è diventato, suo malgrado, un simbolo. Il film vuole cancellare quel simbolo creato intorno al personaggio per dare spazio alla vita di un ragazzo”, chiarisce la regista, e aggiunge: “Nel documentario si parla molto della vita di Carlo ma anche di vita in generale, soprattutto della vita di quel movimento ‘No global’ portato a Genova più di vent’anni fa”.
Ma cos’era il movimento No global?
No global ha unito molte realtà: gruppi e associazioni che avevano in comune una strenua opposizione a un certo tipo di globalizzazione considerata responsabile dell’incremento delle differenze tra i vari Nord e Sud del mondo e all’interno delle singole società nazionali. In modo particolare fronteggiavano il potere di alcune istituzioni politiche e finanziarie quali il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale (Bm) e l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Un movimento di portata mondiale che denunciava l’inadeguatezza del capitalismo nel dirigere le società, a meno di non voler alimentare le disuguaglianze. Nel 2001, in occasione della riunione del G8 a Genova, il movimento fu protagonista di un’importante mobilitazione, soffocata da una violentissima repressione da parte delle forze dell’ordine, i cui fatti più noti sono la morte di Carlo Giuliani, l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz con la successiva “macelleria messicana” perpetrata contro un centinaio scarso di persone semi addormentate e disarmate, e la reclusione dei manifestanti nella caserma di Bolzaneto, con annesse torture.
E Carlo Giuliani?
Tutti lo ricordano come il manifestante con l’estintore in mano. Il documentario traccia la storia del bambino che è stato e poi del ragazzo poco più che ventenne che scriveva poesie, era appassionato di storia e non si faceva mai da parte quando c’era da combattere un’ingiustizia. Un genovese come tanti, amante dei carruggi, con il sogno di partire per il sud America e di trovare il proprio posto nel mondo. Una vita che si è fermata per sempre quella sera di luglio in piazza Alimonda e che è stata strumentalizzata da una fotografia.

Lo scatto che ha fatto il giro del mondo si deve a un inviato della Reuters, Dylan Martinez. Realizzato con un teleobiettivo 70 – 200 mm – che chi si intende di fotografia sa schiacciare i piani con conseguente alterazione delle prospettive – mostra Carlo con un estintore in mano, posizionato di fronte a una camionetta dei carabinieri (apparentemente incastrata) da cui esploderanno i colpi di pistola, e che successivamente sarà invece in grado di fare retromarcia, schiacciando per due volte il corpo di Carlo ormai a terra.
Tuttavia esistono altre prove fotografiche realizzate da altri giornalisti che con una prospettiva laterale dimostrano che tra Carlo Giuliani e la camionetta ci fosse qualche metro di distanza e diverso spazio di manovra.
Non è mai stato chiarito perché un contingente dei carabinieri avesse attaccato un corteo autorizzato, e quella che per qualcuno è stata “legittima difesa” per Amnesty International è, insieme agli altri fatti di Genova, “la più grave violazione dei diritti democratici commessi in uno Stato occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.
Ciò che invece è certo è che il G8 di Genova è stato un grande fallimento, il vertice della vergogna e della paura, e che gli eventi – gravissimi – che ne sono derivati hanno fatto da spartiacque, creando un momento zero, per cui ovunque si parla di un prima di Genova e di un dopo Genova. “Il tempo del confronto civile si ricomincia a contare da qui” scrive Concita de Gregorio in “Non lavate questo sangue. I giorni di Genova”, e aggiunge: “Ci potevamo essere noi, se avessimo avuto dieci o vent’anni di meno o più libertà e più passione, perché le parole d’ordine dell’antiglobalizzazione saranno pure ingenue, ma sono difficili da confutare”.