C’è un po’ dello spirito di Sonny Rollins in ciò che muove i Modern Standards. Il sommo sassofonista diceva “che il pubblico deve essere messo in grado di capire quello che sta ascoltando”. Più il tema è riconoscibile e piacevole, più l’ascoltatore ha modo di sentire come il musicista sviluppa il brano cogliendone le trasformazioni. I Modern Standards, super gruppo formato da Ernie Watts, sax tenore e soprano, Niels Lan Doky, pianoforte, Felix Pastorius, basso, Harvey Mason, batteria, approderanno il 19 marzo alle 21 al Teatro Massimo di Cagliari per un concerto che si preannuncia come uno degli eventi jazz di primavera.
Organizzato dall’associazione culturale Il Jazzino, sarà l’unica data in Sardegna. “Negli ultimi quattro anni ho curato e prodotto una serie di concerti al Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca chiamata Jazz/Takes. Il concetto fondante è che interpretiamo la musica di altri generi attraverso la lente del jazz” dichiara Niels Lan Doky, creatore del progetto: “L’idea nasce dal fatto che il repertorio chiamato ‘jazz standard’ è per la maggior parte fatto di rappresentazioni di canzoni pop degli anni ’30 e ’40. Per qualche ragione, i musicisti jazz nel passato hanno smesso di cimentarsi con nuovi brani e hanno continuato a suonare sempre le stesse canzoni. Io volevo rinnovare e rinfrescare il repertorio degli standard jazz riprendendo brani pop contemporanei e provare a trasformarli in standard jazz allo stesso modo in cui facevano i jazzisti del passato. Quindi abbiamo creato questo gruppo per riuscire a portare il concetto in tournée e abbiamo chiamato il repertorio Modern Standards. Questa volta eseguiremo interpretazioni di canzoni degli Oasis, Nirvana, Prince, Soundgarden, tra gli altri, e le mescoleremo perfettamente con le nostre composizioni originali”.
A Cagliari ci sarà Ernie Watts, che potremmo definire il valore aggiunto.
“Normalmente Bill Evans era il sassofonista nei nostri tour precedenti, ma questa volta non è riuscito a venire, quindi abbiamo chiamato Watts. Ho ascoltato il suo lavoro sin dal liceo alla fine degli anni ’70, quindi è un enorme piacere poter finalmente suonare con lui. Attualmente lo considero uno dei sassofonisti più prolifici al mondo”.
Con gli standards si va sempre sul sicuro: molte composizioni odierne non lasciano alcun ricordo…
“Sì, possiamo dire che questo è parte del motivo. Il mondo del jazz ha avuto una svolta a metà degli anni Sessanta, quando alcuni musicisti iniziarono a pensare la loro musica più per gli scrittori e i critici jazz piuttosto che per il pubblico, di conseguenza la musica divenne più intellettuale e meno emotiva. Il risultato è che la forma d’arte di scrivere melodie forti è andata un po’ perduta. Sono sempre stato contrario a questo processo e ho lavorato per rafforzare il mio senso melodico durante tutta la mia carriera”.
Con quale criterio avete scelto I brani e come avete lavorato su di essi sotto l’aspetto armonico, timbrico e melodico?
“Cerco sempre melodie che abbiano determinate strutture e configurazioni intervallari che mi permettano di fare qualcosa di completamente diverso con esse ma senza cambiare la melodia originale, in modo che rimanga riconoscibile a chiunque la versione autentica dell’artista. A mia volta, utilizzo la riarmonizzazione e il cambio di ritmo, sensazione e talvolta anche tempo, come strumenti principali per cambiare l’atmosfera e il messaggio emotivo della canzone, e per creare una nuova struttura armonica che sia fonte di ispirazione per improvvisare. In questo contesto ho scritto gli arrangiamenti per la classica strumentazione del quartetto jazz composto da sassofono, pianoforte, basso e batteria. Questa combinazione di strumenti ha un suono molto jazz e quindi aiuta anche a trasportare le canzoni in una dimensione diversa”.
La musica odierna vive di continui progetti su repertori, ma d’altronde anche il pubblico non è più quello di una volta, quando voleva solo un tipo di musica.
“È vero, i gusti delle persone oggi sono molto più diversificati rispetto al passato. E penso che sia una buona cosa. E non vale solo per la musica. Anche il cibo, ad esempio: prima le persone che mangiavano sushi, hamburger, cucina italiana, francese e mediorientale erano persone molto diverse. Oggi chiunque può mangiare uno qualsiasi di questi alimenti. Lo stesso vale per la musica. Penso che le persone abbiano una mentalità più aperta adesso. Sono abbastanza vecchio da ricordare i tempi in cui il jazz era soggetto a pregiudizi e discriminazioni. Poi i caffè e gli spot televisivi iniziarono a trasmettere jazz, mentre la musica di sottofondo e il jazz divennero di nuovo in qualche modo mainstream. Adoro esplorare la musica di altri generi e ‘importarla’ nel mondo del jazz, ma ogni volta che mi esibisco con il mio gruppo o faccio concerti per pianoforte suono solo le mie composizioni originali, che considero altrettanto importanti. Non vedo l’ora di tornare a Cagliari. Ho avuto un’esperienza davvero memorabile nel 1988 in occasione del festival Jazz in Sardegna, dove suonai con Bob Berg, Terri Lyne Carrington e il mio connazionale Niels-Henning Ørsted Pedersen”.