Tra i molteplici risvolti dell’utilizzo delle tecnologie per la cultura della sorveglianza digitale, vi sono la continua violazione dei diritti umani e la marginalizzazione delle fasce più deboli. Lo sanno bene le persone migranti, spesso strette in una morsa dove muri fisici e tecnologici si intersecano.
Mentre narrazioni distorte che alimentano sentimenti xenofobi si diffondono nel web a macchia d’olio, assistiamo a una militarizzazione tecnologica che ha esteso in tutto il mondo la portata dei confini, delle frontiere, della discriminazione nei confronti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
La scarsa regolamentazione delle tecnologie di frontiera produce inoltre un netto divario tra chi le tecnologie le utilizza e chi, invece, le subisce.
Uno spunto interessante sulla questione ci viene fornito da Amnesty International: nel mese di febbraio, l’organizzazione ha pubblicato una ricerca dal titolo “Difendere i diritti dei migranti e dei rifugiati nell’era digitale”. Il rapporto offre una panoramica “sull’utilizzo rapido e diffuso delle tecnologie digitali nei sistemi di gestione di migranti e richiedenti asilo in tutto il mondo, inclusi Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea”. Particolare attenzione è rivolta alla raccolta e trattamento di ingenti quantità di dati, all’automazione dei processi, all’utilizzo sempre più frequente dell’intelligenza artificiale e alle ripercussioni che, inevitabilmente, queste pratiche hanno sui diritti umani.
Come spiega Amnesty, i sistemi di gestione dei flussi migratori hanno un razzismo intrinseco profondamente radicato: tecnologie quali satelliti, droni, riconoscimento facciale, scansione biometrica dell’iride e monitoraggio elettronico (per citarne alcune) rischiano di perpetuare e nascondere discriminazioni razziali e pregiudizi; sono quindi necessarie forme di tutela che garantiscano un’adeguata protezione.
Amnesty riconosce l’impatto positivo che le tecnologie possono avere nel favorire il rispetto, la promozione e la salvaguardia dei diritti di migranti e rifugiati in certe situazioni, ad esempio la possibilità di connettere i popoli in movimento a servizi vitali e offrire accesso a informazioni affidabili. I rischi connessi alla privacy e alla discriminazione, però, permangono.
In nome della sicurezza nazionale, misure sproporzionate e di sorveglianza illegale vengono implementate per escludere sistematicamente persone in base alla loro “razza, etnia e religione percepite”.
Lo studio sottolinea come i governi di tutto il mondo abbiano progettato e impiegato tecnologie specifiche in riferimento ai sistemi di migrazione e asilo. Nel lontano 2004, gli Stati Uniti lanciarono i programmi Electronic Monitoring Device e Intensive Supervision Appearance Program (Isap) come alternative alla detenzione (ATD) e che, in base a quanto denunciato da accademici e difensori dei diritti umani, sono “connesse a effettive e potenziali violazioni”. Soprattutto per la “mancanza di trasparenza o controllo per quanto riguarda la privacy o le misure di sicurezza adottate dalle aziende che progettano e sviluppano strumenti elettronici di alternative alla detenzione (e-ATD) come, ad esempio, monitor elettronici per caviglie e applicazioni di rinoscimento facciale-vocale”.
Dalla ricerca emerge anche che l’America utilizza infrastrutture di sorveglianza basate sull’Intelligenza Artificiale, come le torri di controllo “smart” dislocate al confine tra Stati Uniti e Messico. “Si sostiene sempre più – scrive Amnesty – che l’uso della tecnologia per monitorare, seguire e intercettare i rifugiati e i migranti durante i loro viaggi possa contribuire alla loro morte perché prendono strade più pericolose per evitare la sorveglianza”.
Nel 2016, il Regno Unito ha introdotto il “tagging” elettronico della caviglia per il monitoraggio degli stranieri in attesa di rimpatrio, possibilità estesa, cinque anni dopo, anche alle persone sottoposte a cauzione per immigrazione. È stato inoltre proposto l’utilizzo di smartwatch dotati di riconoscimento facciale. Nel 2022, le persone interessate dal monitoraggio elettronico in UK erano 15 mila.
L’Unione europea ha “esteso virtualmente i suoi confini attraverso una serie di tecnologie, tra cui radar, telecamere altamente tecnologiche, dati satellitari, sensori elettro-ottici (ad esempio i rilevatori di movimento), droni e sistemi biometrici. Il Mar Mediterrano diviene così epicentro di sorveglianza in tempo reale dove, in accordo con le autorità libiche, imbarcazioni con a bordo migranti e rifugiati vengono respinte precludendo loro il raggiungimento delle coste europee.
Il riconoscimento facciale ed emotivo viene utilizzato da Ungheria, Grecia e Lettonia “per la rilevazione delle menzogne” nell’ottica di un controllo automatizzato delle frontiere. Il programma – chiamato IBorderCtrl – usa una guardia di frontiera virtuale che interroga i viaggiatori intenzionati a varcare i confini e, attraverso l’Intelligenza Artificiale, valuta le loro micro-espressioni facciali per operare una selezione tra chi può attraversare la frontiera e chi, invece, deve essere ulteriormente interrogato.
A conclusione della pubblicazione, Amnesty rivolge alcune richieste ai governi di tutto il mondo: “proteggere i diritti delle persone in movimento, astenendosi dall’utilizzare tecnologie in contrasto con il rispetto dei diritti umani e assicurandosi che le tecnologie digitali tengano conto dei problemi legati al razzismo sistemico, alla xenofobia e alla discriminazione; vietare l’uso di strumenti di riconoscimento delle emozioni basati sull’intelligenza artificiale, specialmente nel contesto della gestione dei migranti, dei richiedenti asilo nell’ambito dei controlli alle frontiere; svolgere valutazioni sulla protezione dei dati e sull’impatto che tali tecnologie hanno sui diritti umani; vietare i sistemi automatizzati di valutazione del rischio e di profilazione nella gestione dei migranti, dei richiedenti asilo nell’ambito dei controlli alle frontiere; vietare qualsiasi utilizzo di tecnologie predittive che mettano erroneamente a rischio il diritto d’asilo”.