Con la stagione dei lumi e con l’eco della rivoluzione francese anche a Cagliari cominciarono a comparire uomini che professavano il libero arbitrio. Il fatto chiaramente non piacque alla chiesa cattolica che bollò e scomunicò indistintamente giacobini, libertini e framassoni, aggettivi che all’epoca avevano una valenza abbastanza simile, ma che sottolineavano la principale caratteristica, quella che toglieva il sonno ai vescovi, l’anticlericalismo. La forza morale e il potere della chiesa cominciarono a scricchiolare allora, per essere travolte con l’avvento del liberalismo e del processo unitario italiano dove come responsabili venivano indicati soltanto loro, ovvero gli adepti della sinagoga di satana – la definizione è di Pio IX – la massoneria. Ma nel diciannovesimo secolo “un’altra grande forza spiegava allora le sue ali”, per dirla con Guccini, e il fronte anticlericale si allargò con i socialisti, ma anche con radicali, anarchici e repubblicani. Cagliari non ne fu indenne e molto presto i sintomi della vulgata antipapista e antioscurantista si palesarono anche nel capoluogo sardo.
Alla fine dell’Ottocento si soleva definire Cagliari come la città delle processioni. L’eco di secoli dell’influenza culturale iberica si faceva ancora sentire nel suo aspetto, nella lingua e nelle tradizioni, ma era nel sentimento religioso che maggiormente emergeva, attraverso una serie di ritualità caratterizzate da una solennità cerimoniosa che spesso sfociava in una spiccata teatralità ed esteriorizzazione. Bastava trovarsi a Cagliari durante la settimana santa per convincersene – come raccontava nel 1894 un anonimo cronista del periodico per famiglie ‘La Voce del Cuore’ – per poter osservare un “passaggio continuo di processioni che entrano, escono, si danno il cambio, si scontrano, si urtano, c’è una profusione di argenti, di ornamenti, di baldacchini dorati, di simboli, di pesanti statue di Santi, di Cristi, di Madonne”.
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Era consuetudine che nel dopopranzo del martedì santo nel quartiere di Stampace un mesto e lento rullare di tamburo annunciasse la processione dei misteri che storicamente principiava dalla chiesa di San Michele per farvi ritorno dopo circa cinque ore di un tragitto che passava per sette chiese cittadine. E così accadde il 29 marzo del 1904. Alla partenza del corteo a nessuno parve che il solito rullare de “su toccu de cida santa” potesse presagire qualcosa di diverso dalla canonica processione dei simulacri di legno, scolpiti oltre un secolo prima da Giuseppe Antonio Lonis, che raffiguravano gli episodi più drammatici della passione di Cristo. Una cerimonia largamente sentita alla quale partecipavano tutte le confraternite cittadine.
Quel giorno soltanto il delegato di pubblica sicurezza Ferrari aveva avuto sentore che c’era qualcosa di inconsueto che avrebbe potuto turbare il normale svolgimento delle funzioni. Mentre all’interno della chiesa di Sant’Anna si celebrava il rito della prima sosta della processione, scorse nella via Azuni un animato gruppo di persone a lui conosciuto, capitanato dall’avvocato Efisio Orano, elemento di spicco del movimento socialista cittadino. Qualche giorno prima, i socialisti cagliaritani, che erano andati a ingrossare le fila dell’anticlericalismo locale di repubblicani, liberali, anarchici e radicali, aveva inoltrato, invano, un’istanza al prefetto affinché vietasse l’uscita della processione e delle altre della settimana santa. Il motivo della richiesta andava ricercato nel fatto che a suo dire, ai preti e ai loro fedeli clericali e oscurantisti era concessa ogni pubblica manifestazione, mentre al movimento operaio era pressoché vietata qualsiasi adunata e censurata ogni esternazione.
Ancora si svolgeva la funzione religiosa, quando il gruppo di circa trenta socialisti cominciò a intonare slogan e canti, intervallati da fischi assordanti. Il delegato Ferrari intervenne, spiegando che voleva evitare disordini e invitò i protagonisti della protesta a disdire dai loro propositi. L’avvocato Orano rispose che se la processione non fosse stata fermata loro non si sarebbero mossi. Ferrari rilanciò che questo non era nelle sue attribuzioni e i socialisti aggiunsero che allora “ognuno avrebbe fatto il proprio dovere”.
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Come venne aperto il portone della chiesa e la processione dei misteri si appestava a riprendere il suo corso, si sollevò un coro ancora più potente:” Viva Giordano Bruno, Viva il carnevale, abbasso le maschere!” e in pari tempo partì una fitta gragnola di sassi e patate contro le immagini sacre. La folla di fedeli, rimasta fin ad allora sorda e impassibile a fischi e slogan reagì e la processione si trasformò ben presto in una gigantesca rissa alla quale cercava di opporsi, sciabola in pugno, un cordone di carabinieri. L’equilibrio delle forze in campo era chiaramente a sfavore dei contestatori e i gendarmi ebbero il loro ben da fare per evitare che questi venissero linciati dalla folla inferocita, ma ciò non servì a fermare i tafferugli. Le cronache raccontano di arresti, botte da orbi, coltellate; di confratelli che usavano le stanghe delle portantine dei simulacri per colpire gli avversari, di donne svenute e bambini contusi. Si scatenò così, fra la confusione generale, la caccia ai discepoli di Marx da parte dei “difensori dei costumi antichi” che urlavano “abbasso i sucialisti!”.
La processione riprese, ma la tensione tardò a scemare, si diffuse la psicosi della caccia al sovversivo e venne malmenato anche chi socialista non era. Molti feriti si recarono nelle farmacie per farsi curare, mentre Enrico Imeroni, fratello del segretario della sezione socialista cittadina Ugo, venne trasportato d’urgenza all’ospedale civile in seguito a una ferita di coltello che gli aveva reciso un’arteria della gamba sinistra.
Gli agenti e i carabinieri arrestarono, in molti casi per sottrarre qualche socialista dalle grinfie dei fedeli inferociti, quasi trenta persona, ma solo Ugo Imeroni venne trattenuto e successivamente condannato per resistenza alla pubblica forza. Gli altri vennero processati in giugno dall’assise cittadina con l’accusa di aver violato l’articolo 140 del codice penale, turbando, con violenze e contumelie, una funzione religiosa e per offesa al culto. Oltre a Ugo Imeroni vennero condannati Efisio e Carmine Orano, Pietro Serpi, Evaristo Canu e Pasquale Macciolla,
L’episodio ebbe una vasta eco nella stampa nazionale, in particolare nei periodici clericali come ‘L’Osservatore Romano’ e ‘La Civiltà Cattolica‘ che colsero la palla al balzo per condannare l’episodio accusando i socialisti di aver scavalcato i liberali e i massoni nell’attività di avanscoperta anticlericale. Così tuonava l’organo del Vaticano: ” se il socialismo dovesse giungere in Italia, all’apice delle sue aspirazioni anticlericali, o i cattolici dovrebbero ridiscendere nelle catacombe o ci si dovrebbe preparare alla guerra civile”, e invitava lo stato a prendere provvedimenti più drastici e perseguitare come calunniatori tutti i paladini dell’anticlericalismo, socialisti o massoni che fossero.
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I fatti del 29 marzo ebbero degli strascichi anche nelle giornate successive. L’avvocato Orano, il professore universitario di Fisiologia umana sperimentale Giuseppe Fasola e altri socialisti verranno strattonati e allontanati da piazza Martiri durante la processione del giovedì santo e malmenati ancora a Selargius e Monserrato il 25 aprile. Da canto loro stigmatizzarono i fatti accusando di essere stati provocati, puntando il dito specialmente contro don Colonna, il quaresimalista di Santa Eulalia, reo di aver eccitato i fedeli nella chiesa di Sant’Anna.
Tutta la polemica venne spazzata via dai noti fatti di Buggerru dei primi di settembre. Il socialismo e il clericalismo fecero ancora proseliti in città negli anni a venire, con Efisio Orano ancora protagonista nell”’89 cagliaritano” di baccareddiana memoria e i cattolici che acrebbero il loro attivismo in politica facendo leva sulle dispense papali mirate a scavalcare di volta in volta il divieto del non expedit, allora ancora in vigore. Anche il variegato fronte anticlericale trovò nuovi discepoli. In via Barcellona, già strada dei “sovversivi” per la presenza della sede della Camera del Lavoro e della loggia massonica Sigismondo Arquer, sorse il circolo anticlericale dei Martiri del Libero Pensiero intitolato a Giordano Bruno, frequentato anche da un giovane studente dagli occhi scintillanti che si chiamava Antonio Gramsci.
Efisio Orano rimase sovversivo a vita e morì a Rossano Calabro nel 1940, mentre stava al confino di polizia reo di essere uno dei più accesi oppositori all’uomo che la provvidenza aveva regalato a Pio XI. Poco importava se assieme al busto di Giordano Bruno di via Mazzini, le camicie nere cittadine avessero perseguitato e spazzato via tutti; socialisti, massoni, anticlericali e i cattolici stessi.