Prosegue il racconto su come hanno vissuto l’anno pandemico gli organizzatori di spettacoli e concerti dal vivo in Sardegna. Il focus della seconda puntata è sui festival musicali attraverso la testimonianza due colonne portanti del settore: Paolo Fresu, direttore artistico di Time in Jazz, all’edizione numero trentatré dal 9 al 16 agosto scorsi, fra Berchidda, suo paese natale, e altri 14 centri del nord Sardegna, e Serenella Massacci, anima con il direttore artistico Davide Catinari del Karel Music Expo, il festival delle culture resistenti ideato e organizzato nel capoluogo sardo dalla cooperativa Vox Day, alla quattordicesima edizione dal 10 al 12 settembre scorsi a Cagliari.
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Quando siamo usciti dal lockdown a maggio a che festival stavi pensando?

Paolo Fresu : Nel mese di febbraio il festival era chiuso con un tema e degli ospiti internazionali. Quando poi ci siamo resi conto che la pandemia ci avrebbe condizionati, non abbiamo comunque mai avuto dubbi di realizzarlo. Siamo stati tra i primi in Italia ad annunciare un programma definito, non di ripiego: otto giorni per cinquanta concerti, le presentazioni dei libri, le attività per i bambini, il cinema, le tappe nei vari Comuni. L’unico aspetto che non abbiamo potuto sviluppare è stato la parte internazionale. L’abbiamo fatto bene, perché eravamo pronti mentalmente, seppur in attesa delle regole, declinate poi in una manifestazione in tutta sicurezza, nella quale, peraltro, non c’è stato un caso di Covid, in un momento in cui era d’attualità il dibattito acceso sulle discoteche della Costa. Il 16 agosto a San Teodoro, al concerto conclusivo, è venuto a salutarmi il sindaco dicendomi “oggi abbiamo chiuso le discoteche”. C’era, quindi, questa “dislessia” così evidente tra le attività nel pieno rispetto delle regole e alcune altre che ne sembravano al di fuori.
Serenella Massacci : Abbiamo pianificato il festival per tempo, durante il lockdown, partendo dalla consapevolezza della “carcerazione”: c’era da parte del pubblico il desiderio di tornare a vivere un’esperienza emozionale. Abbiamo anticipato a settembre la calendarizzazione del programma che, per tradizione, si è sempre tenuto ad ottobre, in previsione della nuova serrata autunnale. È stato, dunque, un festival consapevole. Gli artisti ospiti – regionali e nazionali (gli internazionali ovviamente sono mancati) – sono stati coinvolti in un’espressione artistica che toccasse gli interrogativi umani, culturali e sociali accesi dalla pandemia. Il festival è stato tutto dal vivo, con un’unica concessione al web. Il pubblico voleva partecipare di persona, tant’e vero che abbiamo avuto il sold out dei concerti, con più paganti (in proporzione al pubblico contingentato) rispetto alle edizioni precedenti. Abbiamo fatto sold out anche nella serata inaugurale del 10 settembre, con i Guano Pagano su Morricone, trasferita dal Lazzaretto al coperto, al T Hotel, in un giorno di allerta meteo rossa, con la città deserta, battuta dalla pioggia. Noi non crediamo che il web possa sostituire la ricchezza di un concerto in presenza, perché la musica è energia e il concerto è “una cerimonia”.
Come ha retto il festival alle restrizioni? Hai intravisto delle opportunità di crescita del tuo progetto?
Paolo Fresu : L’esperienza della scorsa edizione è stata molto utile. Riproporremo in futuro le regole virtuose sperimentate: l’informatizzazione dei ticket e dei pass, la mensa gestita con i qr code e la conferenza stampa in rete, con coinvolgimento capillare della stampa e la rassegna stampa incrementata del 400%. Una serie di cose alle quali in qualche modo eravamo costretti ci ha portati in una direzione giusta. L’unica direzione, che non è giusta per il futuro, è lo streaming dei concerti dal vivo. A quello non ci adatteremo mai. L’idea di fondo è garantire la presenza fisica, riorganizzando la piazza in base alle nuove regole, con gli spettatori ridotti del 40%. Lo streaming va bene solo quando ci sono dietro delle produzioni importanti, per garantire la parte emozionale del progetto. Tra i pochi concerti fatti da me in streaming, il primo è stato lo scorso 8 maggio al Blu Note a Milano, trasformato in un vero studio televisivo. È stato passato su Huawei Video per quasi 150 mila persone raggiunte. In molti si sono buttati sullo streaming. Qualcuno lo ha fatto molto bene, altri meno, ma il divario tra chi segue un concerto da casa e chi lo segue in sala è troppo grande.

Serenella Massacci : Parlando di opportunità, noi, nei giorni dell’ultimo Karel Music Expo, abbiamo riscontrato che la voglia di vivere torna sempre in superficie: una “resurrezione”, sensoriale ed emotiva del nostro pubblico, il desiderio di riaggregarsi, pur rispettando le distanze prescritte, la voglia di sentirsi umani, il piacere della risata e lo scambio di energie che può svilupparsi solo davanti ad un palco. Da qui, il sold out delle serate. Citando una vecchia canzone di Davide Catinari, il direttore artistico di Vox Day, noi crediamo che “l’assenza restituisce il giusto senso a ciò che si possiede”. Lo stress per noi non è stato organizzare nel rispetto delle normative – ci siamo abituati – ma la consapevolezza che chi è privato della libertà non è più umano. Questo è stato lo stress, ma anche la ricchezza dell’esperienza del festival durante il Covid-19.
Come immagini l’edizione 2021 del tuo festival? C’è qualche particolare misura che andrebbe presa dalle Istituzioni governative per favorire la ripresa del settore?

Paolo Fresu : Il prossimo anno, ancora con le regole di prevenzione del Covid, troveremo un equilibrio tra lo sbigliettamento (con molti meno biglietti rispetto agli anni passati) e il programma, spendendo meno, ma non a discapito della qualità. Poi, adesso, non ci aiuta il mancato contributo dell’assessorato regionale del Turismo (qui l’articolo che racconta la vicenda), un problema noto di cui vedremo gli sviluppi. Sul festival in cantiere, vorrei riportare il carattere di internazionalità, se gli spostamenti tra i Paesi saranno consentiti, previo tampone. Ora è un momento di stasi. Ritengo, come molti, che i teatri non dovessero chiudere. A Berchidda non c’è stato un caso di Covid-19, come in tutti gli altri luoghi dove si sono svolti spettacoli e concerti nel rispetto delle norme e con un pubblico responsabile. Ci vuole, allora, una riflessione più complessa sull’importanza della cultura nella nostra società. Il Covid-19 ha dimostrato, purtroppo, che la cultura e lo spettacolo – il 16% del PIL nazionale – non siano delle priorità per il nostro Paese: le discoteche sono state aperte, da subito si è parlato delle spiagge; solo il 29 aprile Conte ha menzionato per la prima volta la cultura e i lavoratori dello spettacolo, un esercito di professionalità, ora senza lavoro e tutele. Spero, dunque, che – attraverso il confronto tra il Governo e forum delle arti e dello spettacolo – si esca dalla pandemia con una riscrittura dello Statuto dei lavoratori dello spettacolo.

Serenella Massacci : Chi fa il nostro mestiere parte da una passione. Se lavori nello spettacolo dal vivo, non puoi proiettare il tuo pensiero creativo in uno scenario in cui il pubblico è di fronte a uno schermo. Non siamo registi cinematografici, siamo musicisti e Vox Day è una compagnia di produzione. Continuiamo a sviluppare dei progetti artistici che siano comunque in grado di riservare allo sguardo un’esperienza emotiva e alle orecchie e all’anima un viaggio capace di arricchire le coscienze. Per noi il futuro non potrà essere nel Web. Ciò nonostante, proveremo a lavorare su produzioni, che si adattano anche alla fruizione sullo schermo, utilizzando tecniche cinematografiche e con musiche molto dense, capaci di portare ad una riflessione, la cifra del direttore artistico Davide Catinari. Possiamo usare la piattaforma di Franceschini, vedere i concerti al cinema, o a casa nostra con il migliore degli schermi esistente, ma non sarà come in un concerto sul palco in presenza. Per la prossima edizione del festival vogliamo lavorare dal vivo e continuiamo a vedere delle contraddizioni nelle misure varate del Governo: ad esempio, vedo i bus pieni e poi i teatri chiusi e consideriamo che in Italia in tutti i concerti e spettacoli effettuati nello scorso anno è stato registrato un solo caso di Covid-19. Vediamo ora come si evolve la situazione e troveremo il modo anche di andare in luoghi non convenzionali dove sarà consentita l’aggregazione, sperando di superare gli scogli burocratici connessi alle autorizzazioni degli spettacoli.
(Foto in evidenza: Time in Jazz 2020, di Alessandra Freguja)