Il secondo conflitto mondiale era terminato da poco e la Sardegna cercava di rinascere partendo dalle ferite e dalle macerie tristemente ereditate dalla guerra. Emilio Lussu tornato nell’isola dopo vent’anni aveva ripreso attivamente a fare politica e ciò comprendeva una consistente propaganda attraverso i comizi nelle piazze. Nel 1946 il suo tour elettorale lo portò a Meana Sardo per sostenere l’amico Francesco Fenu, maestro sardista perseguitato dal fascismo e candidato alla carica di sindaco. Prima di raggiungere il piazzale della chiesa però, Lussu volle recarsi in una vicina casa in stile liberty nella strada principale del paese. Desiderava fortemente ringraziare di persona colui che, grazie al suo coraggio e al senso del diritto e del dovere, lo aveva salvato da almeno vent’anni di carcere, il giudice Arcangelo Marras.

Penultimo di sei figli, Arcangelo Marras nasce a Meana Sardo il 14 ottobre del 1866. L’appartenenza a una delle famiglie storicamente più influenti e facoltose del paese garantisce la possibilità di compiere l’intero ciclo di studi inferiori a Cagliari e quello universitario a Pisa, dove si laurea in Legge, risultando uno dei migliori del suo corso, nel 1894.
Allo studio affianca la passione per la saggistica, il giornalismo (con articoli e corrispondenze per L’Unione Sarda) la poesia e la politica, simpatizzando in giovane età per le idee radicali di Cavallotti per poi sposare quelle liberali di Francesco Cocco Ortu che a Meana, amministrata dall’amico Giovanni Mura Agus, ha una delle sue roccaforti elettorali nel collegio di Isili.
Tornato in Sardegna, Marras percorre le prime tappe professionali partendo come uditore e aggiunto giudiziario presso le procure di Cagliari, Tempio e Oristano e come pretore a San Nicolò Gerrei e Terralba. Qui, in seguito alla contrazione di una febbre malarica abbandona la sede e finisce sotto un procedimento disciplinare che si conclude nella sospensione dall’impiego e dello stipendio, col trasferimento provvisorio a Seui e infine a Cicagna Ligure, in provincia di Genova, dove viene destinato per scontare la sua insubordinazione e dove risiede fino al 1903.
I successivi gradini della lunga scalata forense lo portano ai tribunali di Cremona, Vercelli, Frosinone, Roma (dove viene insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia) fino alla procura generale di Palermo e al ritorno in Sardegna nel 1924 presso la Sezione d’Accusa della Corte d’Appello di Cagliari.
Il suo arrivo in città coincide con il cruciale periodo dell’operazione fusionista del Generale Gandolfo attuata per soppiantare lo squadrismo di matrice “sorcinelliana” e portare sotto il fascio littorio una grossa fetta di militanti ex combattenti che formano i quadri attivi del Partito Sardo d’Azione. La mossa ordita da Mussolini si rivela vincente e in un primo momento trova anche la tiepida approvazione di Lussu che torna repentinamente su i propri passi in seguito alle roventi missive della sezione sassarese di Fancello e Bellieni decisamente aversa alla fusione.
Il precipitare degli eventi dopo il delitto Matteotti e le “leggi fascistissime” della svolta dittatoriale travolgono anche il deputato di Armungia. Lussu è uno dei più impassibili e tenaci accusatori di Mussolini. Il 31 ottobre del 1926, appena arriva la notizia dell’attentato Zamboni, i fascisti cagliaritani si presentano sotto la sua abitazione di piazza Martiri per la resa dei conti. Lo squadrista Battista Porrà si arrampica in uno dei balconi e viene freddato da Lussu a colpi di rivoltella appena vi mette piede. L’arresto da parte dei carabinieri è inevitabile e per i fascisti che non sono riusciti a eliminarlo con le cattive, si presenta la ghiotta occasione di metterlo fuori gioco attraverso la giustizia ordinaria.

Rinchiuso nel carcere di Buon Cammino il deputato attende il processo. Nel maggio del 1927 dietro le forti pressioni del guardasigilli Rocco, il procuratore Roberto Orrù avanza la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio volontario. Tuttavia i tre giudici della sezione d’accusa della corte d’appello sono orientati al proscioglimento per legittima difesa. Interviene allora il presidente della corte d’appello D’Ancona che avvalendosi di una prerogativa prevista dalla legge, si sostituisce al presidente e tenta di imporsi agli altri consiglieri senza però riuscirci. Si arriva cosi a un compromesso che riesce a bloccare il proscioglimento, con una sentenza che rinvia l’imputato davanti alla corte d’assise dove dovrà rispondere di omicidio con la minorante di eccesso di legittima difesa.
Il procuratore Orrù ricorre in cassazione e la suprema corte annulla la sentenza emessa in sede d’istruzione rimandando gli atti alla corte d’appello che dovrà deliberare con tre nuovi giudici. Mussolini preme affinché il processo Lussu venga celebrato – ” per motivi di ordine pubblico” – presso la corte d’assise di Chieti dove i magistrati avevano già dimostrato tutta la loro indecorosa accondiscendenza verso il fascismo. Quello che il futuro duce non può prevedere è la risolutezza dei tre giudici sardi che si riuniscono la sera di sabato 22 ottobre.
Nessuno immagina una mossa tanto perspicace e quando il lunedì successivo gli organi giudiziari tornano in tribunale scoprono con loro grande sorpresa che il collegio istruttorio presieduto dal giudice Arcangelo Marras, affiancato da Decio Lobina e Antonio Giuseppe Manca Casu ha deliberato “il non doversi a procedere contro l’imputato Lussu Emilio per il fatto che gli si addebita perché non punibile, per averlo egli commesso per esservi stato costretto dalla necessità di respingere gli autori di scalata alla propria casa d’abitazione in tempo di notte”. Ordinando che il Lussu sia liberato ove non debba per altro motivo rimanere detenuto.”
L’atto viene subito registrato dal cancelliere Giacomo Mereu. Al ministro Rocco non rimane che telegrafare a Mussolini: “pregiomi comunicare che imputato Lussu venne prosciolto dalla Sezione Accusa Cagliari essendogli stata accordata scriminante legittima difesa”.

Nel suo forte senso del diritto e nella sua onestà e rettitudine Arcangelo Marras non solo dice no al fascismo e alla procura, ma va contrò i suoi stessi familiari. Dal fratello Salvatore, notaio e tesserato fascista sin dal 1926 fino ai nipoti Francesco Mura, Giuseppe Luigi Mura e Francesco Paulesu che nel Ventennio ricoprono la carica di podestà.
Non è da escludere che il magistrato meanese non abbia potuto coronare la sua lunga carriera forense con il grado di giudice di cassazione proprio in conseguenza di questo suo atto coraggioso. Raggiunge i 70 anni proprio nel 1936, in pieno periodo fascista, senza che gli resti il tempo necessario per ottenere una revisione su quanto aveva sofferto in conseguenza della partecipazione a quella sezione d’assise. Viene così collocato a riposo il 14 settembre per sopraggiunti limiti d’età con il conferimento del titolo onorifico di Consigliere di Cassazione.
Il figlio Peppino, per lungo tempo magistrato alla corte dei conti di Roma, così lo descrive al giornalista Giovanni Battista Fenu: “Nello svolgimento delle sue funzioni è stato sempre indipendente e scrupolosamente impegnato a una giusta applicazione della legge. Per il resto, specie con i figli, era come i sardi d’un tempo, completamente chiuso sui fatti attinenti la sua professione, tant’è che non ha lasciato nulla di scritto. Diciamo che fu anche l’unico di quelli che a Meana, potevano considerarsi “notabili”, a impegnarsi – dopo la Liberazione e la ripresa democratica – per qualche anno (nonostante gli ottanta anni suonati) nella competizione politica.
Legatissimo al paese natale non trascura occasione per esaltarne le bellezze naturali delle quali si sente affascinato e di stimolare, anche per la veste di amministratore comunale che ricopre per parecchi anni, ogni iniziativa intesa a realizzare le principali opere di interesse del comune ed a migliorare le condizioni di vita sociale dei propri conterranei. Una volta a riposo si dedica alle sue passioni e alle sue proprietà, coltivando il sogno mai realizzato della creazione di bacini idrici montani ovunque ci sia una sorgente o un torrente da valorizzare.
Per i meanesi rimase sempre Su Giugi, il giudice. Coloro che lo incontravano mentre ormai anziano passeggiava claudicante in compagnia del suo cane, lo salutavano sempre con particolare rispetto. Morì nel suo paese natale il 17 aprile del 1955.
Dopo l’assoluzione Emilio Lussu verrà condannato a cinque anni di confino con destinazione Lipari da dove evade avventurosamente assieme a Francesco Fausto Nitti e Carlo Rosselli per raggiungere la Francia. Ma questa è un’altra storia.
Bella storia di una persona per bene.