La stima di sé.
Quale sé?
E poi, quale stima?
Abbiamo due termini, stima e sé, che ne formano uno di enorme importanza per l’individuo.
Sapete a quali malintesi ci conduce l’autostima? Un eccesso di autostima è un problema, ma lo è anche il difetto.
Andiamo per ordine, anche perché non si pongono delle domande senza cercare di trovare plausibili risposte.
Il sé è una parte di noi.
Alcune correnti e approcci psicologici lo distinguono dall’io e poi nel farlo lo mettono in relazione ad altre istanze della personalità, come nel modello freudiano che prevede anche il super io e l’es. Altri non si riferiscono al sé ma all’io e altri ancora danno più peso ad una cosa o all’altra.
Non è facile districarsi.
Io mi sono formata una mia idea.
Come sapete la psicologia ha avuto molti sviluppi, ma uno ancora stenta a farsi strada ed è ovvio, mi riferisco alla psicologia spirituale, anche se sarebbe meglio definirla psicologia esoterica, giacché ciò che cerchiamo di fare è dare conto di cose che esistono ma sono ascose. In questa ottica l’io, o sé inferiore, è la somma data da corpo, emozioni e mente concreta (mente razionale). Sé, da intendersi come Sé superiore, è da riferirsi alla mente astratta e a una dimensione animica che dovrebbe guidare la triade inferiore (cioè corpo, emozioni, mente razionale).
Io e sé.
Bene, entrambi i termini si riferiscono a qualcosa di me.
Ora facciamo una piccola valutazione della parola stima, che poi detto così sembra un gioco di parole o un’affascinante tautologia, non so io le trovo sempre affascinanti le tautologie.
Stima: determinazione del valore. Ma anche apprezzamento. Si fa la stima di un bene, si ha stima di una persona. In entrambi i casi si tratta del riconoscimento delle qualità, delle caratteristiche, delle misure, dei pesi, dei colori, di tutte le fattezze, esterne e interne. Ciò significa sapere, e in certi casi è meglio dire conoscere, ciò di cui stiamo facendo l’esame. O, almeno, essere in un processo di conoscenza di quella cosa.
Tenete ora a mente le parole riconoscimento e processo, ci torneremo tra pochissimo.
Quando trattiamo con l’autostima, alla stima di che cosa ci stiamo riferendo? Cosa stiamo valutando, considerando, soppesando e apprezzando? O non apprezzando? Siamo concentrati sull’io? Quindi, repetita iuvant, la triade di corpo, emozioni e mente? O stiamo dando uno sguardo alle caratteristiche della nostra anima?
Non è una risposta facile ma si può, in generale, affermare che la maggior parte di noi si riferisca all’io o sé. Sapete, le questioni animiche sono ancora piuttosto farraginose, ma ci possiamo arrivare, prossimamamente.
Fino a qui ho fatto premesse, perché è necessario vedere bene gli elementi di questa analisi. E poi, se lo dovessi spiegare a me stessa farei così, quindi nel segno dell’autenticità, lo propongo a voi in questa forma.
È molto bello conoscere la propria anima, ma lo è altrettanto conoscere l’io. Anche se l’io non ci dice chi siamo, quello è inscritto nell’anima, ci dice però cosa possiamo fare con quel terzetto con cui samoo venuti alla luce, e la luce è quella della nostra anima.
Allora, per fare una giusta stima di me, cosa mi serve? Conoscermi e riconoscermi. Un percorso ricorsivo, in cui iniziamo a esplorare come siamo fatti e ci torniamo sopra più volte, ecco perché conoscenza e riconoscenza.
Faccio conoscenza con me stesso e ci ritorno sopra, guardo meglio, valuto, soppeso, scopro, mi meraviglio, mi arrabbio, mi frustro, gioisco, mi rallegro e una miriade ancora di emozioni e pensieri e tangibile percezione di me. Posso pure usare le tre parti del mio io per esplorare il mio io, uso i miei sensi fisici, le emozioni e il pensiero razionale che poi mette in ordine tutto. Anche questa può essere una tautologia, l’io che cerca di spiegare l’io e poi, forse, si capisce solo lui, ma è ciò che massimamente conta.
Quindi noi, alla fine, non avremo una bassa o un’alta autostima, ma avremo fatto una stima di noi, ottenendo dei risultati e chiamando le cose per come sono, il che ci porta al concetto di umiltà che, come una volta mi disse il compianto frate cappuccino Stefano Mascia, è scoprire la verità su se stessi.
Così è l’autostima, la conoscenza di come sei e la consapevolezza di questo e il riconoscimento che ne consegue si trasforma in gratitudine. Se è alta si pecca di umiltà e se è bassa si pecca di umiltà ugualmente. Perché tu sei, noi siamo, ciò che siamo e nel vedere questo possiamo correggere ciò che non ci piace, che non ci fa funzionare come vorremmo, o arricchire e potenziare quanto, invece, ci rende fieri di noi stessi. Poi un giorno ci sarà la stima dell’anima. E poi le metteremo assieme e la vita avrà un significato assai più ampio di quello che si basi sul punto di vista esclusivo dell’io.
Perché l’autostima ci espone a malintesi? Perché se non sai cosa sia pensi che si tratti solo di un’idea grandiosa di te, magari formulata a casaccio, un’idea che ti serve per motivarti nella vita, per prevalere sulle difficoltà e velare ciò che realmente sei. Il risultato di un paragone che è positivo se superi qualcuno e negativo se qualcuno supera te.
Se questa è la tua autostima allora andrai incontro a sofferenza e spargerai sofferenza e non capirai cosa ti stia davvero succedendo e invece di vivere ciò che è, lo starai semplicemente interpretando e lo declinerai con i verbi del tuo avvocato difensore interno che ti darà sempre ragione.
Autostima non è questo, cioè rimbalzare come palloni gonfiati nel campo da calcio della vita.
Autostima è, secondo la mia umile idea, andare nel mondo, consapevole di chi si è.
Vi saluto con una nota da glossario: la triade inferiore (corpo, emozioni, mente) è, in sintesi la personalità. Io= personalità.
Buon lavoro amici.
(Foto di William Warby)