Dalla crisi climatica ai fenomeni migratori, dai conflitti e disordini politici alle violenze che ne derivano. Sono queste alcune delle urgenze più attuali del nostro tempo, da cui sono partiti i 3.778 fotografi provenienti da 141 paesi in tutto il mondo per partecipare al World Press Photo Contest 2025, il concorso dedicato al fotogiornalismo e alla fotografia documentaria che dal 1955 seleziona alcuni tra i migliori professionisti, contribuendo a costruire un pezzo di storia del giornalismo visivo internazionale.
Le fotografie dei 24 vincitori, scelti da una giuria indipendente tra 59.320 candidature, offrono uno spaccato profondo del mondo e sono attualmente esposte al MuA – Museo e archivio di Sinnai, in via Colletta 20, all’interno di una mostra visitabile fino al 19 ottobre 2025, organizzata da Sardinia to do, con il patrocinio del Comune di Sinnai e il contributo della Regione Sardegna, di Fondazione di Sardegna, dell’Associazione socioculturale Ardesia e di ASCE Associazione sarda contro l’emarginazione.
Provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’Oceania, dall’Europa e dall’America (Nord, Centro e Sud), le immagini sono il frutto di fotografie individuali, reportage e progetti a lungo termine portati avanti dai fotografi che le hanno realizzate e sono riproposte seguendo la suddivisione per aree geografiche.
Testimonianza visiva di ciò che sta accadendo, spaziano dal racconto della rivolta giovanile in Kenya, scoppiata a seguito della proposta del Ministero del Tesoro keniota di aumentare le tasse sui beni di consumo, ai conflitti attualmente in corso a Gaza e in Ucraina. Documentano i corpi delle donne eritree ed etiopi che – in fuga dai regimi dei loro Paesi – sono stati oggetto di sistematiche violenze: stupri, fucilazioni, torture.
Gli scatti danno voce a dolori sconosciuti, spesso inascoltati o trascurati. Dentro, ci sono le storie degli ultimi, ma anche di chi quegli ultimi contribuisce a renderli tali, come la foto di Donald Trump ferito all’orecchio da un’arma da fuoco nel 2024, durante un comizio in Pennsylvania, in piena campagna elettorale, che fa da contraltare alle immagini degli emigrati clandestini al confine con il Messico, immortalati nel disperato tentativo di entrare negli Stati Uniti.
Ma ci sono anche le foto che testimoniano la siccità in Amazzonia o della peggiore inondazione che abbia mai colpito il Basile nella sua storia recente, con conseguenti devastazioni ambientali, lo sfollamento di circa 600.000 abitanti e la morte di quasi 200 persone.
E ancora: la crisi ad Haiti, che ha registrato un aumento improvviso e senza precedenti della violenza tra gang, le limitazioni dei diritti a El Salvador o il racconto di “un posto in cui morire”, in un tranquillo quartiere residenziale, nello stato di Washington, dove i malati terminali scelgono di andare a morire, circondati da compassione, tenerezza e solidarietà prima di bere un farmaco che pone fine alla loro vita.
Ci sono i racconti dalla Mongolia e la foto di Mahmoud Ajjour, il bambino gazawi di nove anni ferito durante uno dei tanti attacchi israeliani a Gaza, nel marzo 2024, che gli ha reciso un braccio e mutilato l’altro (giudicata miglior foto dell’anno, realizzata dalla fotoreporter palestinese Samar Abu Elouf).
Nel mezzo, cartelloni riepilogativi della storia della competizione nata dalla volontà di un gruppo di fotografi olandesi che nella seconda metà degli anni ’50 avevano organizzato il primo concorso del World Press Photo per presentare il loro lavoro a un pubblico mondiale.
“La World Press Photo – si legge – è una organizzazione no-profit che connette il mondo alle storie che contano. Continua a dedicarsi alla libertà di stampa e crede nel potere del giornalismo visivo, fornendo piattaforme che presentano immagini accurate, variegate e affidabili”.
A partire dagli anni ’70, l’esibizione annuale che espone gli scatti dei vincitori del concorso inizia a viaggiare al di fuori dell’Olanda e ad oggi la mostra attraversa circa 129 paesi. Tra i suoi grandi meriti vi sono quelli di diffondere un modo alternativo di fare cronaca, sviluppare la memoria collettiva ed essere di grande aiuto alla ricostruzione degli eventi nel tempo.










